L’Italia riconosca lo Stato palestinese, l’unica soluzione è “Due popoli, due Stati”

di Giusy Clarke Vanadia

L’intellettuale israeliano Israel Shahak scomparso nel 2001, sopravvissuto all’olocausto, instancabile oppositore della politica espansionista sionista, affermava: “I nazisti mi hanno fatto provare la paura di essere ebreo, gli israeliani mi hanno fatto provare la vergogna di essere ebreo”.

L’Occidente, alla fine della seconda guerra mondiale, nell’intento di lavare il proprio senso di colpa per l’orrore dell’olocausto, si macchiò  dell’errore clamoroso, di strappare la terra ai palestinesi, una comunità povera, allo stato quasi tribale, per dividerla tra due popolazioni. Nel 1947, l’assemblea generale dell’ONU divise i territori tra arabi ed israeliani, allora numericamente minoritari, con la convinzione che quella  concessione avrebbe permesso loro di non dovere più patire persecuzioni. Invece, la superiorità militare e la ricchezza economica delle comunità ebraiche diffuse nel mondo, fece sì che le “vittime” si trasformassero in aggressori verso una popolazione inerme e disorganizzata, sotto assedio da 66 anni.

Oggi i palestinesi vivono relegati in territori sempre più angusti, totalmente privi dei servizi essenziali quali l’accesso:

  • all’energia elettrica, alle strade, alle scuole, ai servizi sanitari minimi, alle risorse naturali.

Israele ha l’obbligo di restituire le terre, i frutteti, gli uliveti e gli altri beni immobili sequestrati allo scopo di costruire il muro nei Territori palestinesi occupati. Tutti gli stati hanno l’obbligo di non riconoscere la situazione illegale che deriva dalla costruzione del muro”  (Opinione consultiva della Corte di giustizia internazionale, 2004);

  • allacqua:

L’acqua è vita, senza acqua non possiamo vivere… Prima i soldati hanno distrutto le nostre case e le stalle coi nostri animali, poi hanno sradicato tutti i nostri alberi e infine se la sono presa con le cisterne d’acqua. Dobbiamo lottare ogni giorno perché ci manca l’acqua“ (Fatima al-Nawajah, un’abitante di Susya, villaggio palestinese a sud di Hebron).

Decine d’insopportabili soprusi, sgomberi e demolizioni, di arresti arbitrari e processi farsa:   “Le autorità israeliane giocano coi nostri sentimenti, ci torturano, ci puniscono”. (“Reham”, cui le autorità israeliane negano il permesso regolare di visitare il fratello, arrestato per la prima volta all’età di 12 anni e in carcere da 15 anni)

L’intera popolazione palestinese è priva del diritto umano fondamentale di ogni essere nato sulla Terra, la “cittadinanza”, art.15 “Dichiarazione universale dei diritti umani”.

Alcune cifre sui rapporti tra le due popolazioni, fornite da Amnesty International:

  • Dal 1987 oltre 10.200palestinesi morti, a fronte di 1.400 israeliani uccisi.
  • Centinaiadi misure militari israeliane, come posti di blocco in Cisgiordania che rendono quasi impossibile lo svolgimento di banali attività quotidiane.
  • Km 700 di barriera/murodi cui l’85% si trova su terre palestinesi che separa le famiglie, divide le comunità.
  • 10 anni in cui oltre due milioni di palestinesi sono isolati dal resto del mondo, a causa del blocco illegale aereo, navale e terrestre nella striscia di Gaza.
  • Dal 1987 centinaia di migliaia pelestinesi arrestati, compresi donne e bambini, che svolgevano attività pacifiche.
  • Tra il 1987 e il 1993, i militari israeliani, hanno arrestato oltre 100.00 palestinesi. 

Sin dal loro iniziale insediamento, grazie a strategie spregiudicate gli abilissimi militari israeliani iniziarono a conquistare, rapidamente, nuove fasce di territori originariamente possedute dai palestinesi. Le guerre, tra il 1948 ed il 1973 che videro la partecipazione di Egitto,  Giordania, Libano, e Siria, hanno  portato ad una radicalizzazione del conflitto. Le sconfitte dei Paesi della Lega Araba incapaci di coordinamento e di un’adeguata risposta militare, hanno portato alla creazione di enormi campi profughi, all’esodo di intere popolazioni verso gli Stati confinanti, Europa e Nord America, provocando una vera tragedia umanitaria nell’indifferenza dei Paesi industrializzati e dell’intero Occidente.

L’Ong israeliana “Breaking the silence” ha pubblicato 145 testimonianze di soldati israeliani che sono state pubblicate in un volume pubblicato da Donzelli. I soldati israeliani raccontano che , tra il 2000 ed il 2010, si è perpetrato un vero attacco con l’uso della violenza, con violazioni ed operazioni militari offensive, contrabbandate come azioni “preventive”.

L’esercito israeliano, come denunciò il quotidiano “The Guardian”, non ha mai negato l’uso di armi come le terribili “fléchette”, per altro proibite, la cui esplosione causa la caduta di una pioggia di frammenti di metallo che non fa distinzione tra civili e militari. Mentre gli arabi non dispongono che di pietre.

Con l’avvento di Donald Trump,  la situazione per la comunità palestinese, diventa sempre più difficile e drammatica. Basti pensare alla sua decisione di spostare la sede diplomatica USA a Gerusalemme, un atto provocatorio che ha causato reazioni di condanna non solo da parte del mondo arabo, ma di tutta la Comunità internazionale.

Ultima, deprecabile iniziativa tutta israeliana, sostenuta anche dall’Italia e dal ministro del turismo Luca Lotti, quella dell’israeliana Comtec Group che ha organizzato per il 4 maggio, la partenza del “Giro d’Italia 2018” da Gerusalemme e che toccherà proprio quei territori occupati con la violenza, quella miriade di villaggi ripetutamente rasi al suolo. Il “Giro” attraverserà la Sicilia, con numerose tappe in varie città, tra le quali Catania, dove fervono  preparativi di manifestazioni di protesta con il coinvolgimento della comunità palestinese e dei suoi rappresentanti in loco.

Noi chiediamo alla comunità internazionale di tenere altissima la guardia  su quanto accade oggi in Palestina.

Al nuovo Parlamento ed al nuovo governo, CHIEDIAMO :

l’Italia, si unisca ai 134 paesi nel mondo che hanno riconosciuto lo Stato Palestinese. Lo hanno chiesto autorevoli intellettuali in una lettera pubblicata dal quotidiano Haaretz, lo chiese la figlia del generale Moshe Dayan, lo chiede dal 1980 l’Unione Europea affermando che l’unica possibile soluzione è quella di arrivare a

“DUE POPOLI,  DUE STATI”.