Rosatellum, l’ennesimo furto di democrazia

di Antonio Ingroia

Sono così tanti i costituzionalisti che ci hanno spiegato perché il rosatellum è contro ogni elementare principio di democrazia che resta poco da aggiungere. Ma c’è anche un’altra chiave di lettura che aiuta a capire l’essenza dell’ennesimo furto di democrazia che si sta perpetrando in danno di noi cittadini. E per coglierla occorre fare qualche passo indietro.
C’era una volta il proporzionale che in un sistema bloccato garantiva che il Parlamento fosse rappresentativo delle varie culture del Paese. Poi passò il messaggio che la corruzione dilagante fosse figlia del metodo di selezione della classe dirigente e il proporzionale venne abrogato. Da allora le cose sono peggiorate e ne è seguita la lenta agonia della democrazia via via che si sono avvicendate le leggi elettorali, una peggiore dell’altra, dal mattarellum al porcellum, fino all’italicum ed ora il rosatellum, il peggio del peggio.
La crisi di rappresentanza è diventata crisi di consenso, con parlamenti affollati di nominati che hanno spinto sempre più cittadini ad astenersi dal voto. Da percentuali di votanti superiori all’80 per cento degli elettori ai tempi del proporzionale si è arrivati oggi alla metà degli aventi diritto che non va a votare.
Ma tutto ciò non è avvenuto per caso. La progressiva disaffezione verso la politica è anche l’effetto di leggi elettorali sempre più complicate e pensate nell’interesse degli eletti anziché degli elettori. Leggi fondate sulla sfiducia nei cittadini, ricambiata da questi ultimi, sempre più convinti che “i politici sono tutti uguali”.
Difficile non pensare alla piena realizzazione oggi degli obiettivi strategici della Trilateral, prima, e della P2 di Gelli, poi. Il think thank Trilateral, fondato da David Rockfeller, ha sempre sostenuto il necessario ridimensionamento della partecipazione dei cittadini, tanto che in uno studio del 1975 apertamente sosteneva che il problema dei sistemi politici europei sta nell’essere “sovraccarichi di partecipanti”, e perciò raccomandava che ci si adoperasse per diminuire la partecipazione dei cittadini alla democrazia. Il che sembra in agghiacciante sintonia con le considerazioni di Gustavo Zagrebelsky quando denuncia che l’incomprensibilità di certi meccanismi del rosatellum è sintomo di un’idea della politica come cosa riservata a una nuova oligarchia alla quale nulla importa della partecipazione, considerata anzi come un “fastidio”. Mentre, sempre in quei fatidici anni ’70, la P2 di Gelli, traducendo in proposte gli input della Trilateral, immaginava per la Camera un sistema misto uninominale-maggioritario e un Senato delle regioni, proprio come nel rosatellum. E’ la stessa filosofia della controriforma di Renzi spazzata via dal referendum del 4 dicembre. Ed è non meno eversiva dello spirito e del dettato costituzionale. Ma sugli evidenti vizi di costituzionalità del rosatellum la Corte Costituzionale non potrà intervenire in tempo, essendo troppo vicine le elezioni. Del resto, è proprio questo uno dei motivi per cui il Consiglio d’Europa raccomanda ai paesi membri di non legiferare in materia elettorale nell’anno precedente le elezioni.
Ma non pensiate che ciò sia frutto di ignoranza e pressapochismo. Il nostro ceto politico sa bene dove colpire e come intervenire. Il rosatellum è una legge per favorire gli amici e colpire i nemici. Le liste civetta aiutano Berlusconi, la soglia del 3% Alfano, il sovradimensionamento delle coalizioni favorisce il Pd, la norma che consente ai residenti in Italia di candidarsi nelle circoscrizioni estere soccorre l’impresentabile Verdini. Per l’unica grande forza politica contraria a questa legge è prevista una penalizzazione clamorosa, visto che una percentuale superiore al 30% porterebbe ai Cinque Stelle circa il 20% dei parlamentari. Mentre il bottino dei seggi persi se lo spartiscono gli amici e gli amici degli amici. Chi ha ancora il coraggio di chiamarla democrazia?