1993: l’Annus Horribis dell’Italia (Seconda parte)

di Marco Gerardi


L’ombra della destra eversiva


Paolo Bellini è un’ex primula nera di Avanguardia Nazionale, a cavallo tra l’eversione di destra e i servizi, con una serie di reati alle spalle (come l’omicidio del giovane Alceste Campanile nel 1975, l’affiliazione all’Ndrangheta, la latitanza sotto falsa identità trascorsa in Brasile), da anni collaboratore di giustizia ed attualmente indagato per concorso in strage in relazione all’attentato di Bologna del 1980. In merito ad un suo presunto coinvolgimento nelle stragi del 1993, Giovanni Brusca (ex boss di Cosa Nostra, condannato anche per aver materialmente fatto esplodere la bomba a Capaci e collaboratore di giustizia ritenuto più volte attendibile) ha raccontato di essersi nascosto durante gli incontri tra l’ex estremista di destra e Nino Gioè – braccio destro di Totò Riina – e di aver sentito il primo suggerire di colpire i monumenti o di cospargere le spiagge di Rimini di siringhe infette. “Il suggerimento viene da lui, non abbiamo altra fonte. Dopo Capaci è lui a parlare della Torre di Pisa o delle siringhe sulla spiaggia di Rimini. Diceva di creare allarme nel turismo, senza il bisogno di fare attentati eclatanti”. Secondo il collaboratore di collaboratore di giustizia, sarebbe, pertanto, stato Bellini a suggerire il tipo di strategia offensiva da muovere ai danni dello Stato, colpendo non più le istituzioni bensì il patrimonio artistico italiano. Tale ricostruzione è stata confermata da Riina: “Ma questo Bellini che ci andò a fare a discutere con Gioè ad Altofonte, dove c’ha detto e c’ha messo in testa di poter fare queste stragi verso Firenze, verso Pisa, verso l’Italia? Io questo Bellini me lo trovo in mezzo ai piedi con i servizi segreti perché manovrato”.
Inoltre, come scritto dalla Relazione Pisanu, “abbiamo notizie abbastanza chiare sulla trattativa Bellini-Gioè-Brusca-Riina, dalla quale nacque l’idea di aggredire il patrimonio artistico dello Stato, avendo spiegato Bellini ai suoi interlocutori che ‘ucciso un giudice, questi viene sostituito; ucciso un poliziotto, avviene la stessa cosa; ma, distrutta la Torre di Pisa, viene distrutta una cosa insostituibile con incalcolabili danni per lo Stato’”.
Ovviamente il Bellini ha respinto tutte le accuse di concorso in strage, attribuendo l’idea di colpire i monumenti allo stesso Nino Gioè: “Non ho mai pensato di organizzare un attentato alla Torre di Pisa. Fu Antonino Gioè che, pensando che non si poteva fare una trattativa reale con chi mi mandava da lui a recuperare le opere d’arte, non ritenendoli seri, buttò lì la storia della Torre di Pisa”.

L’ombra di Berlusconi e Dell’Utri


Tra i presunti concorrenti nelle stragi del ’93 sono stati più volte coinvolti dall’accusa Berlusconi e Dell’Utri. Vennero indagati una prima volta dalla Procura di Firenze nella seconda metà degli anni ’90, ma poi le loro posizioni furono archiviate per scadenza dei termini d’indagine. Il 14 novembre del 1998, il gip Giuseppe Soresina, nel chiudere l’inchiesta, rilevò come Berlusconi e Dell’Utri avessero “intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato”. E vi è “un’obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione [Forza Italia]: articolo 41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni Novanta”. Lo stesso giudice, poi, aggiunse che nel corso delle indagini “l’ipotesi iniziale [di un coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri nelle stragi del 1993 a Milano, Firenze e Roma] ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità”. Tuttavia, era scaduto “il termine massimo delle indagini”. Non solo: la sentenza della Corte d’Assise di Appello di Caltanissetta, che il 23 giugno 2001 condannò 37 boss mafiosi per la strage di Capaci, dedicò un capitolo ai “contatti tra Salvatore Riina e gli on. Dell’Utri e Berlusconi”. In esso si legge che è provato che la mafia intrecciò con i due imprenditori e poi uomini politici “un rapporto fruttuoso quanto meno sotto il profilo economico”. Tant’è che poi, nel 1992, “il progetto politico di Cosa Nostra sul versante istituzionale mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell’economia”. Ossia, ad “indurre alla trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato”.
Ci sarebbe da considerare, inoltre, ciò che il boss condannato per le stragi del 1992-1993 e per l’omicidio di don Pino Puglisi – Giuseppe Graviano – ha dichiarato sia nel corso dell’ora di socialità nel carcere di Ascoli con il camorrista Umberto Adinolfi, sia nel corso del processo ’Ndrangheta stragista, la cui recentissima sentenza l’ha condannato insieme al boss della criminalità organizzata calabrese – Rocco Filippone – per essere stato il mandante degli omicidi dei carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, da inserire nel quadro della trattativa Stato-mafia del 1992-1994. Intercettato nel carcere di Ascoli il 10 aprile del 2016, Graviano dice: “Nel ’93 ci sono state altre stragi, ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia. Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ‘ci vorrebbe una bella cosa’. Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. Per i pubblici ministeri il boss si riferisce all’intenzione di Berlusconi di entrare in politica già nel 1992. Secondo gli investigatori, questa frase sarebbe da interpretare come necessità di un gesto forte, di un attentato, anche ricollegando queste frasi al “colpetto” che secondo il pentito Spatuzza – ritenuto attendibile da più magistrati e giudici – si doveva dare per ordine dello stesso Graviano. Spatuzza ha raccontato di aver incontrato il capomafia a Roma il 21 gennaio 1994: “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, alla Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui mi rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”. È un fatto che proprio quando Graviano incontra Spatuzza a Roma, Marcello Dell’Utri si trova a pochi metri dal bar Doney di via Veneto: infatti, il 22 gennaio del 1994, era in programma una convention di Forza Italia all’hotel Majestic e secondo la Dia il suo arrivo in albergo è registrato il 18 gennaio. È possibile che Dell’Utri e Graviano si siano incontrati negli stessi giorni in cui quest’ultimo incontrava Spatuzza? Anche a causa di queste intercettazioni, Berlusconi e Dell’Utri sono nuovamente indagati dalla Procura di Firenze per le stragi del 1993. Ultimamente, poi, Graviano è tornato a farsi sentire, nel corso del processo ’Ndrangheta stragista: “Da latitante ho incontrato Berlusconi almeno tre volte. Abbiamo cenato insieme. È accaduto a Milano 3, in un appartamento. Negli anni ’70 mio nonno aveva messo i soldi dell’edilizia al nord. Mio nonno materno, Quartanaro Filippo, era una persona abbastanza ricca. Era un grande commerciante di ortofrutta. Il contatto è col signor Berlusconi. Berlusconi sapeva come mi chiamavo e nel 1992 annunciò a mio cugino Salvo che voleva entrare in politica. Nel 1992, no come dicono nel 1993. Già il partito era preparato nel 1992. Prima della strage di Capaci”. Ancora: il 23 gennaio, sempre nel corso del medesimo processo, ha detto al pubblico ministero: “Durante la detenzione mi è stato riferito che c’erano degli imprenditori di Milano a cui interessava che le stragi non si fermassero”. Chi sono questi imprenditori? Graviano risponde che “si evince anche dalle intercettazioni con Adinolfi. Io parlo di un imprenditore, come si evince dalle intercettazioni, però a me non fate dire nessun nome perché io non riferirò nessun nome. Io non lo so perché avevano interesse a far proseguire le bombe. Non sono nella mente di quelle persone, avete le intercettazioni. Da ciò potete ricavare i dati per completare il discorso. Sia sugli imprenditori che su tutto il resto. Io non racconto bugie al signor Adinolfi perché lo rispetto. Se volete scoprire i veri mandanti delle stragi, indagate sul mio arresto”. Graviano fu arrestato a Milano il 27 gennaio 1994, in compagnia del fratello Filippo (anche lui condannato per gli stessi delitti) e del palermitano Giuseppe D’Agostino, padre dell’ex calciatore Gaetano. “D’Agostino è stato coinvolto a sua insaputa – afferma ancora Graviano -, era la prima volta che veniva a Milano. L’hanno avvicinato con la storia che doveva far fare al figlio un provino con il Milan… se indagate su questo arriverete ai mandanti delle stragi”. È saputo, in quanto emerso nei processi a suo carico, che a segnalare l’allora calciatore-bambino al Milan fu Marcello Dell’Utri. Dopo queste altre dichiarazioni, la Procura di Firenze ha deciso di indagare sull’arresto dei fratelli Graviano, sempre nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi del 1993.Ovviamente l’avvocato di Berlusconi – Niccolò Ghedini – ha respinto immediatamente tutte le accuse e ha dichiarato che agirà tramite vie legali per tutelare il suo cliente. Vedremo come andrà a finire. Di certo c’è che la magistratura continuerà ad indagare per scoprire la verità su quel periodo terribile per la nostra democrazia, visto che la Seconda Repubblica è nata col sangue di magistrati e civili innocenti, uccisi per i loschi affari di pochi.