Riforma intercettazioni: la dimostrazione che viviamo in una democrazia controllata

di Francesco Bertelli

Si sciolgono le Camere e quindi, per prassi, il governo in carica (nella fattispecie quello di Gentiloni) rimane al suo posto fino al giorno delle elezioni, 4 marzo prossimo, e anche successivamente, per il disbrigo degli affari correnti. Uno si immagina di non doversi aspettare più nulla da una legislatura (iniziata dopo le ultime elezioni, ovvero dal governo Letta fino a Gentiloni) che ha collezionato una serie infinita di fiaschi maggiore di una cantina sociale, salvo qualche sporadica legge di principio corretta e poi annacquata come al solito il giorno dopo la sua entrata in vigore.

Invece no. Al peggio non c’è mai fine. Così nell’ultimo Consiglio dei Ministri del 2017 è stato dato il via libera alla riforma Orlando sulle intercettazioni che entrerà in vigore fra sei mesi. In sostanza quasi nessun passo indietro nei confronti delle richieste dell’Anm e anziché sempllificare (come ci raccontano tutti) lo strumento delle intercettazioni, e quindi lasciarlo così come era, si genera caos.

Come era previsto dalla bozza Orlando, nella riforma si trasferiscono tantissimi poteri alla polizia giudiziaria. Sarà infatti quest’ultima, e non più il pm, a dover operare una prima scrematura delle intercettazioni per separare quelle rilevanti da quelle irrilevanti “ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge.”

La polizia giudiziaria dovrà segnare soltando data e ora e il dispositivo su cui avviene la registrazione. Qui abbiamo subito un primo problema: spariscono infatti i brogliacci (una sorta di riassunto) che fino adesso erano a disposizione del pm. Di quelle intercettazioni irrilevanti rimarrà soltanto la data, l’ora e il numero di telefono. Ne consegue che il pm dovrà fare affidamento completo alla polizia giudiziaria. Unico appiglio: con un decreto motivato il pm potrà ordinare la trascrizione di queste intercettazioni irrilevanti una volta che ne valuti la rilevanza per i fatti oggetto di prova.

Pm e giudice delle indagini preliminari potranno riportare le intercettazioni in un provvedimento solo “quando è necessario” e solo per  “i brani essenziali”.

Arrivati a questo primo punto di analisi, sorge spontanea una domanda: che fine faranno la marea di intercettazioni irrilevanti ai fini delle indagini ma magari (come sempre capita) rilevanti ai fini del diritto di cronaca? Semplice: andranno tutte a finire in un archivio custudite dal pm e rimarranno coperte da segreto anche se gli avvocati potranno ascoltare senza però riprodurle. Quindi se lì dentro ci fosse qualcosa di interesse pubblico lì rimarebbe e per sempre. Nessuno ne verrebbe mai conoscienza.

Altro punto critico: l’utilizzo del Trojan. Può continuare ad essere utilizzato per i reati di mafia e di terrorismo ma si pongono dei paletti , rendendolo in pratica inutilizzabile, sul fronte della corruzione in cui cade il vincolo associativo e in sostanza ciao mare.

E dal punto di vista dei difensori? Tutto più complesso. I difensori infartti avranno a disposizione i brogliacci delle intercettazioni rilevanti e una sorta di elenco in stile cinema muto di contatti irrilevanti, senza una distinzione tra le prime e le seconde. Domanda: come faranno a trovare le informazioni utili per i loro assistiti? Però ci viene detto che potranno ascoltare gli audio. Si, vero. Ma solo per un termine non superiore a venti giorni.

Ecco quindi che il nocciolo della riforma sposta il peso dal pm alla polizia giudiziaria. Quindi il pubblico ministero vedrà svolgere la scelta che fino ad adesso rientrava nei suoi compiti, ad un altro soggetto. Visto e considerato che pure i pm talvolta sbagliano, chi ci dice che i pubblici ufficiali della polizia giudiziaria non possano incappare in qualche errore vista la mole di intercettazioni da classificare che si troveranno davanti?

Ma c’è di più.

Questa riforma , infatti, è solo l’ultimo corollario di un disegno più ampio già eseguito a suo tempo dal governo Renzi nel gennaio 2015, all’insaputa dei cittadini. Il giorno prima delle dimissioni dell’ex premier infatti un ultimo regalo ci venne concesso dal suo governo: la riforma del segreto investigativo. All’art.329 del codice di procedura penale , si legge che <<al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizione, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia– direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale.>>

Morale della favola ad essere a rischio è il principio del segreto investigativo. Grazie al meccanismo della scala gerarchica polizia, carabinieri, finanzieri hanno l’obbligo di riferire il contenuto delle indagini appena avviate. Ciò rappresenta un danno di sistema, che non dovrebbe subire alcuna deroga in proposito ma semplicemente rispettare i dettami del codice di procedura penale senza alcun stravolgimento.

Esempio classico: Cosa potrebbe accadere davanti d un’inchiesta per mafia, corruzione o altro che possa mettere in imbarazzo soggetti legati alla politica? Tale inchiesta per via preferenziale, arriverebbe subito sulla scrivania della politica prima che ne venga a conoscenza l’interessato e al pubblico. Senza contare che il provvedimento della magistratura potrebbe giungere mesi dopo.

A questo sommiamoci la riforma delle intercettazioni e il quadro è completo. E’ l’esempio classico del fatto che viviamo costantemente in una democrazia controllata dall’alto, in cui il cittadino è bene che non conosca nulla che abbia a che fare con i retroscena del potere perchè magari potrebbe farsi poi un’idea tutta sua di chi ci governa. E’ l’omologazione del conformismo denunciata a suo tempo da Pasolini. Dobbiamo soltanto guardare la televisioni e fidarci di quello che ci viene raccontato, in barba ai principi costituzionalmente sanciti dalla nostra Costituzione come il diritto di cronaca e il principio di sovranità che (se ancora non ce ne fossimo resi conto) apparterebbe a noi. Ma così funziona nel nostro Paese. Si va avanti così all’insaputa dei più.

Lo sappiamo tutti (politici compresi) che le intercettazioni vengono disposte dal magistrato nel corso di un’indagine. Una volta che tale indagine viene depositata (con i relativi rinvii a giudizio) quelle intercettazioni di conversazioni diventano pubbliche. E se quelle conversazioni riguardano personaggi pubblici on significa che quei magistrati che hanno disposto le intercettazioni siano dei fissati spioni: semplicemente svolgono il loro dovere. Sono i politici, in quanto personalità pubbliche, che dovrebbero sapere che non possono sottrarsi al controllo dei cittadini: devono rispondere dei loro comportamenti, laddove ci fossero dei reati o indizi di reato. Non c’è da confondere il diritto alla privacy come si tenta di fare da parecchio.

Ma tutto questo ci passa sopra come niente fosse, pieni di fake news istituzionali che ci fanno prendere la menzogna come pura e semplice verità inviolabile.

Intanto, a nostra insaputa, ogni giorno un pezzo di democrazia e libertà ci viene tolto