Il dopo-Riina. Morto un papa, se ne fa un altro?

di Enza Galluccio, autrice di testi sulle relazioni tra poteri forti e criminalità organizzata.

Anche il Capo dei capi, Totò Riina, muore portandosi dietro un ingombrante pezzo di storia italiana, a poco più di un anno di distanza dal suo compagno-nemico Bernardo Provenzano. Su queste due imponenti figure si sono intrecciate relazioni di potere fatte di accordi e di guerre che hanno caratterizzato gli ultimi cinquant’anni della nostra storia politica ed economica.

Riina è morto lasciando aperte troppe domande sui mandanti occulti delle stragi di Capaci e di via D’Amelio del ’92 e quelle che sono seguite in continente, nel ’93. Quel che resta, tuttavia, sono le sue ultime minacce intercettate nel carcere di Opera, confidate al suo compare di discorsi Alberto Lo Russo durante l’ora d’aria.

I destinatari sono quei magistrati della Procura di Palermo che in qualche modo sono parte del processo sulla trattativa tra lo Stato e la mafia. In particolare Nino di Matteo che “lo guarda troppo” e deve fare la “fine del tonno”. Proprio per questo sono arrivati a Palermo 200 chili di tritolo fin dal 2014 (se non prima) e, ben custoditi, attendono il momento giusto. Ce l’ha confermato anche il pentito Vito Galatolo.

Per suo statuto, prima o poi, Cosa nostra esegue sempre un comando dato da un capo. Riina ha mai ritirato o modificato quell’ordine? Sembrerebbe di no. Dunque, chi dovrebbe dare il via all’esecuzione nel momento opportuno? Ma guardiamo anche altri aspetti. ‘U Curtu lascia il campo in piena campagna elettorale, situazione in cui la mafia ha necessità di garantirsi il mantenimento del potere politico che già detiene. Quale referente ha scelto? Oppure, quale gruppo politico ha preso in mano la situazione, per dare continuità ad un contesto ben radicato da molti anni?

Oggi si pensa a Matteo Messina Denaro come erede naturale del potere di Riina, ma non può essere sfuggita la scomunica che lo stesso Riina ha emanato fin dal 2013, sempre dal carcere di Opera, nei confronti dello stesso boss di Castelvetrano: “Questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa pali per prendere soldi, ma non si interessa di…[…]” e ancora “Se ci fosse suo padre buonanima (Francesco Messina Denaro, ndr ), un bel cristiano, che ha fatto tanti anni di capomandamento a Castelvetrano, a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero […]Questo figlio lo ha dato a me per farne quello ne dovevo fare. E’ stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia, tutto in una volta…. Si è messo a fare la luce… E finì, e finì… Fa luce! […] E a noi ci tengono in galera, sempre in galera”.

Emerge un’immagine del presunto successore che evidenzia quanto il Messina Denaro jr sia stato poco gradito dal Boss che, forse, considerava troppo legato al business e centrato su di sé, per essere un vero “re di Cosa nostra”. Può diventare, quindi, il “capo di tutti” chi è stato screditato e sottoposto a dure valutazioni proprio dal Capo supremo suo predecessore? Siamo davvero sicuri che Cosa Nostra rimanga eternamente stabile e legata a certi schemi organizzativi?

Il regno di Riina è durato troppo a lungo, per escludere che la versatilità e l’adattamento di questa organizzazione a nuovi contesti politici, oltre che propri, si manifesti anche attraverso cambiamenti nella gestione interna. E se, anziché un unico capo, ora si decidesse di mantenere le stesse condizioni che permangono da qualche decennio? Vale a dire, se non fosse più necessario un “capo dei capi- re” e risultasse più funzionale quel “sistema criminale integrato” composto da più realtà diverse che interagiscono e si scambiano favori o condividono percorsi, come potremmo ipotizzare anche tenendo conto dell’analisi del Procuratore aggiunto, Giuseppe Lombardo, di Reggio Calabria? Una sorta di “federalismo criminale” che coopera in sinergia e mantiene stretti legami d’ interesse economico e di potere con il mondo politico e, perché no, istituzionale?

Sta di fatto che ora il campo sembrerebbe libero e le mafie necessitano di figure di mediazione per prendere nuovi accordi e rientrare a pieno titolo nei ruoli di governo del Paese.