La Repubblica dei depistaggi e noi abbiamo perso la capacità di indignarci

di Francesco Bertelli

Diciamolo con tutta franchezza : o come sistema Paese (qui di Stato e società civile uniti insieme) riusciamo a fare i conti con il nostro passato, uscendo dal pantano di sabbie mobili in cui viviamo, oppure è inutile e forviante continuare a parlare di democrazia e dei suoi diritti. L’Italia non è una vera democrazia per il semplice fatto che rappresenta un’impresa ardua (per certi casi anche impossibile) fare luce sul proprio passato.

Un Paese che non riesce (perchè manca in primis la volontà politica politica per farlo) a garantire ai propri cittadini il diritto alla verità e alla giustizia non può andare lontano con un futuro roseo: il motivo è semplice. Quel futuro non è altro che il passato oscuro e pieni di misteri irrisolti che si fa a sua volta presente, senza andarsene mai, restando lì, nell’ombra a condizionare il contesto politico che gli ruota attorno.

Un problema da non sottovalutare è rappresentato dal continuo cambiamento (solo apparente) del quadro politico nostrano degli ultimi anni, con il conseguente mutamento anche dei problemi messi in programma dai vari governi che si sono succeduti e che, con l’aiuto di interi settori delle telecomunicazioni e della carta stampata asserviti al sistema, riescono a bombardare la pancia (e anche la mente) del proprio elettorato trasformando quei problemi in emergenze assolute, finendo per indirizzare l’attenzione su altro. Parlando di altro, alla fine manca anche una consapevolezza collettiva di noi cittadini sulla vera percezione macro-politica che attanaglia il nostro Paese.

Il problema è che certi temi come i misteri sulle decine di stragi impunite, sulla lotta alla mafia, sui rapporti tra questa e la politica e settori deviati del potere, non interessano più, o meglio, vengono percepiti come un problema secondario, quando invece rappresentano il collante di tutti gli altri problemi del Paese Italia.

Abbiamo dimenticato i fatti e le loro dinamiche e cause che li hanno fatti nascere; abbiamo perso pure la capacità di indignarci. L’indignazione, se costruttiva, non è un peccato, anzi è sintomo di una società sveglia ed informata. L’omologazione che si percepisce in una società è sintomo, invece, di un popolo dormiente.

Ci fu un periodo, nel 1992 dopo le stragi palermitane di Capaci e Via D’Amelio che videro la Sicilia e l’Italia intera orfani di due simboli della lotta alla mafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in cui la società civile reagì fortemente. Movimenti civili all’indomani d quelle stragi consentirono una forte concentrazione collettiva alle porte con un’altra stagione, quella di Tangentopoli e quella delle bombe del 1993.

Oggi quella consapevolezza è andata spegnendosi pian piano sempre di più, per la colpevole disinformazione ultraventennale a cui la maggior parte dei cittadini ha abboccato senza possibilità di replica.

Gli esempi di fatti e misfatti che dovrebbero indignarci sono numerosi. Per non perdere completamente la memoria è opportuno menzionarne alcune.

Prendiamo un fatto piuttosto recente, considerato lo spartiacque della storia politica italiana: 1978. Il rapimento e l’omicidio del segretario della Dc Aldo Moro. Bene; a dicembre 2017 l’ultima Commissione Moro, dopo quattro anni di lavoro intenso e proficuo ha chiuso il suo iter. A 40 anni da quei fatti tragici la Commissione ha chiosato il tutto con un particolare che prima era solo spiegato nei libri come tesi probabile, dietrologia, ipotesi; e cioè che in Via Fani dove Moro venne rapito e dove venne uccisa tutta la sua scorta, c’erano anche le Brigate Rosse, ma non erano sole.

Roba dirompente che ha prodotto una voragine non indifferente nella “versione di comodo” che ogni anno ci viene profilata nel giorno della commemorazione del rapimento e dell’uccisione di Moro. Il lavoro della Commissione ha di fatto smontato la versione “dicibile” che ha ruotato intorno sempre al famigerato memoriale Morucci-Faranda.

Ma di tutto questo la società civile pare non essersene accorta.

Oppure prendiamo un altro esempio. Una tragedia che ha visto coinvolte decine di famiglie che chiedono da trentotto anni verità e giustizia. La strage di Ustica in cui morirono 81 persone a bordo del DC-9 Itavia.

Subito dopo le ultime commemorazioni è ripartito il consueto depistaggio in televisione, in radio e sui giornali. Si è tornati a sostenere la tesi della bomba, nell’indifferenza generale dei cittadini e della politica. Si sa ormai da anni che questa tesi (la bomba a bordo del DC-9) è stata bocciata a causa dei tanti errori riscontrati proprio dagli stessi magistrati che l’avevano commissionata.

Ma fa niente; depistaggio in più o depistaggio in meno, la vicenda di Ustica pare caduta nel dimenticatoio collettivo.

Così come le morti misteriose a Poggio Ballone (Grosseto) collegate a ciò che accadde nei cieli quella sera in cui il DC-9 era in volo. Tutti coloro che lavoravano e che hanno visto cosa è accaduto quella sera a Ustica, sono morti in modo misterioso. Come la vicenda di Dettori, maresciallo dell’aeronautica in servizio al radar di Poggio Ballone e trovato impiccato il 31 marzo 1987. Trent’anni dopo si scopre che sul corpo del maresciallo non è mai stata fatta alcuna autopsia. Anche questa storia si è già persa nella memoria collettiva.

Per non parlare della strategia della tensione che va dalla strage di Piazza Fontana del 1969 arrivando a quella di Bologna del 1980, senza dimenticare l’Italicus e il Rapido 904.

Piste nere, piste anarchiche, piste rosse, apparati deviati, servizi segreti deviati. Alla fine il tempo è passato e la memoria dei cittadini pure.

Memoria collettiva che manca anche in riferimento alla storia degli ultimi ventisei anni. Eppure due motivazione di due sentenze di due processi epici ,concorrono quasi in contemporanea a darci un mano a ricordare: il processo sulla trattativa Stato-mafia e il Borsellino quater.Ci ricordano che durante biennio 1992-1994 apparati dello Stato scesero a patti con Cosa Nostra, a quale era alla ricerca di nuove alleanze e di nuovi patti. Leggendo insieme queste due motivazioni si arriva alla conclusione che questi patti sanciti da pezzi di Stato e pezzi di Cosa Nostra tennero sotto scacco l’andamento democratico dell’Italia del periodo e di conseguenza anche ciò che è avvenuto dopo. Si è capito che Paolo Borsellino, subito dopo la strage di Capaci dove era stato ucciso il suo amico fraterno Giovanni Falcone, era giunto a conoscenza di questo dialogo e che esso ne accelerò la sua morte. Non è più una semplice ricostruzione dietrologica; è scritto nero su bianco su una sentenza. Così come è scritto che nel periodo delle bombe del 1993 Cosa Nostra aveva trovato in Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi due referenti politici adatti per realizzare i suoi obiettivi. Ma viene scritto anche che Berlusconi non solo pagava Cosa Nostra da vent’anni, ma che ha continuato a farlo anche durante il suo primo governo nel 1994 e fino almeno al dicembre 1994, con gli uomini di Riina subito informati in merito a futuri provvedimenti legislativi (il famoso decreto Biondi) che Forza Italia aveva in cantiere, aventi ad oggetto forti benefici per i mafiosi al 41 bis. Ad informare preventivamente Cosa Nostra era Marcello Dell’Utri e il tre volte presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ne era perfettamente a conoscenza.

Tutto questo pare scivolarci addosso senza più trasmetterci alcuna emozione: nessuna indignazione, nessuna voglia di svegliare le nostre coscienze. Limitandoci solo a questo ultimo nostro spaccato di storia recente vediamo che dimenticandoci o disinteressandoci di questi fatti del 1992-1994 la memoria del nostro passato recente, che ha condizionato il presente, e lo farà anche per il futuro. Se invece prendiamo in riferimento i fatti sopra elencati di un arco temporale così ampi(e la miriade di altri che per spazio non entrano in questo articolo), possiamo dire che senza un briciolo di indignazione collettiva, abbiamo quasi perso completamente il senso della storia di questo Paese, trasformandoci sempre di più dei pesci rossi fuor d’acqua.