PERCHE’ LA RAGIONE DI STATO DEVE SEMPRE PREVALERE ?

di Antonio Ingroia

Nella vicenda relativa al rifiuto della Presidente Meloni e del ministro Tajani a presentarsi davanti all’autorità giudiziaria del processo sull’omicidio di Giulio Regeni si pone una questione di giustizia, ma anche e soprattutto di democrazia.
Si tratta di capire se un capo del governo, convocato dall’autorità giudiziaria per rendere dichiarazioni utili per l’accertamento della verità sul delitto di un cittadino italiano all’estero, abbia il dovere – in questo caso – di riferire il contenuto di un colloquio con il Presidente egiziano Al-Sisi avente ad oggetto proprio il caso giudiziario. Circostanza di grande rilievo per l’accertamento della verità, vista la totale assenza di collaborazione finora prestata dalle autorità egiziane.
Secondo Costituzione, vigendo il principio della separazione dei poteri, l’autorità giudiziaria dovrebbe avere tutto il diritto di pretendere che il capo del governo, e il ministro degli Esteri che ha assistito al colloquio, ne riferiscano il contenuto, specificando quali siano le dichiarate disponibilità alla collaborazione da parte delle autorità egiziane. Ancor più importante in questo caso giudiziario, visto che l’omicidio Regeni ha tutti i contorni di un delitto di Stato coperto dallo stesso Stato, quello egiziano, che ne è responsabile.
Invece così non sembra essere per il Presidente del Consiglio e l’Avvocatura dello Stato. Infatti la Presidente Meloni ha fatto sapere di avere tutta l’intenzione di sottrarsi all’audizione, comunicando tramite l’Avvocatura dello Stato che non intende presentarsi all’autorità giudiziaria perché sussisterebbero gravi ragioni di opportunità internazionali che imporrebbero di mantenere il segreto perché la divulgazione di un colloquio riservato fra capi di governo senza il consenso dello stato estero potrebbe incidere negativamente sulla “credibilità dell’Italia nella Comunità internazionale”.
Intanto, viene da subito la prima banale osservazione: la “credibilità dell’Italia nella Comunità internazionale” in questa vicenda è da tempo ormai incrinata, se non definitivamente compromessa, a causa della nostra incapacità di pretendere dallo Stato dove il delitto è stato consumato che vengano individuati e consegnati i colpevoli o che comunque venga assicurata una collaborazione di livello almeno decente con i nostri investigatori e magistrati, finora totalmente sbeffeggiati. Sicché, la credibilità internazionale del nostro Paese non può essere di certo messa a rischio dall’eventuale violazione – in nome di superiori e sacrosante ragioni di Giustizia – di una richiesta di segretezza da parte di un capo di Stato che non ha alcuna credibilità e legittimazione per chiederlo.
Più in generale, si pone ancora una volta il conflitto fra presunte ragion di Stato, in questo caso più modeste ragioni di opportunità e di diplomazia internazionale, e le ragioni, ben più gravi in questo caso, del Diritto, della Giustizia e della Verità. Cosa deve prevalere? Non credo possano e debbano esserci dubbi. La Costituzione, che impone alla magistratura l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, non può tollerare eccezioni se non di fronte al Segreto di Stato. La Meloni vuole imporre il segreto di Stato su quel colloquio, avvenuto quasi sei mesi fa, alla fine del quale aveva espresso soddisfazione per le assicurazioni ottenute da Al-Sisi, che non risulta siano mai state adempiute? Se è così, il capo del governo usi la procedura per apporre il segreto di Stato su quel colloquio, anche se dubito che ci siano i presupposti per farlo. Altrimenti, mai come in questo caso la magistratura non può fermarsi e deve andare avanti nell’accertamento della verità. Nulla può fermarla. E se il Governo dovesse provarci, andrebbe sollevato un conflitto di attribuzioni. Il presunto primato della politica della ragion di Stato sulle ragioni di giustizia non dovrebbe avere ingresso neppure in questo caso.
Dico, non “dovrebbe”, perché per esperienza personale ho vissuto la distanza fra principi e prassi. Infatti, come è noto, io da PM sono stato vittima di un’altra, enorme, prevaricazione della politica sulla giustizia, sempre in nome della ragion di Stato. Era il 2012 quando l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sollevò un conflitto di attribuzioni contro la Procura di Palermo perché avevamo “osato” intercettare casualmente una sua telefonata con un nostro indagato, l’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino, nell’ambito dell’indagine sulla “trattativa Stato-mafia”. Anche allora la ragion di Stato presunta prevalse sulle ragioni della Giustizia e quelle intercettazioni vennero distrutte in violazione di legge, visto che furono distrutte senza osservare la procedura prevista dalla legge.
Ora la prevaricazione della politica sulla giustizia si sta nuovamente verificando anche nel caso Regeni. Un ulteriore strappo della Costituzione e del principio fondante della separazione dei poteri, ma anche un’offesa al senso di giustizia degli italiani ed alla legittima richiesta di verità dei familiari del povero Giulio Regeni e degli italiani che credono ancora nel valore supremo di Verità e Giustizia. Non è solo una questione di giustizia, ma soprattutto di democrazia. In questo decennio l’Italia è cambiata, ma solo in peggio.