INDIGNATI E OFFESI

di Antonio Ingroia

Ho usato questa foto perché credo renda l’idea del titolo di questo post: INDIGNATI e OFFESI. Che potrebbe diventare il titolo di una rubrica, di un giornale, perché no? Di un movimento politico…
E’ il momento di puntare l’indice accusatore. Come nella foto.
Per il titolo ho preso spunto da un titolo del grande romanziere russo Fëdor Dostoevskij “Umiliati e offesi”, ma credo dia meglio l’idea della nostra condizione attuale l’espressione INDIGNATI E OFFESI.
Perché? Perché sono gli unici sentimenti che si possono provare nell’Italia di oggi. Leggiamo quotidianamente i giornali, ad esempio, su questa terribile vicenda della magistratura italiana, “Palamara-Lotti-CSM”, che sta azzerando la fiducia dei cittadini nella magistratura, ma che purtroppo non mi meraviglia più di tanto.
Perché pensate che io ad un certo punto, nel 2013, abbia tentato di cambiare la politica e attraverso questa la magistratura con il progetto RIVOLUZIONE CIVILE (poi non riuscito soprattutto per mancanza di tempo, di alleanze e per l’ostilità dell’allora Presidente Giorgio Napolitano e di tutti media coalizzati)? Proprio perché ero stato facile profeta di tutto questo: avevo già “visto” e “sentito” l’involuzione della magistratura e soprattutto dei suoi vertici, Capi degli Uffici, CSM e ANM in testa, arrivati al disastro di oggi (altro che, caro Ministro Bonafede! Non mettiamo la testa nella sabbia come gli struzzi, come nella sua intervista a La Stampa, dove sembra che tutto va bene in magistratura e gli attuali capi degli uffici giudiziari sono i migliori magistrati! E no, caro Ministro, non è così. E quindi MOLTO non va…Perché Ingroia e De Magistris non sono più in magistratura? Perché Di Matteo è in un angolo? Caro Ministro, Lei mi è umanamente simpatico, ma non faccia lo struzzo per paura di affrontare i problemi….).
Insomma, non è un caso che Luca Palamara fosse il Presidente dell’ANM quando 10 anni fa, col plauso di tutto l’arco costituzionale e di (quasi) tutta la stampa e i media, non sollevò un dito mentre noi, i PM della “Trattativa”, venivamo massacrati quotidianamente per avere “osato” fare quell’indagine (io massacrato più di tutti, ragion per cui poi decisi di lasciarla alla vigilia del processo per “salvare” il pool e il processo da tutte le polemiche scatenate contro di me). Ed è un caso che Palamara era “fidatissimo” dal Presidente Napolitano, al punto da designarlo per un’improbabile “mediazione” fra la Procura d Palermo e il Quirinale quando scoppiò il conflitto di attribuzioni? No, non è un caso. Come non è un caso che all’epoca lo stesso partito trasversale (col gruppo “Repubblica-L’Espresso” in testa), che mi attaccava quotidianamente, blandiva Palamara come “prudente magistrato con grande senso delle Istituzioni”, ed oggi lo attacca solo perché Palamara, che prima “proteggeva il culo” all’ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone (così emerge dalle intercettazioni pubblicate in questi giorni), ne è improvvisamente divenuto “avversario” per ragioni oscure e che solo loro due potrebbero spiegare se qualcuno solo glielo chiedesse (ma qualcuno glielo chiederà mai in questo Paese di omertosi?).
Questa è l’Italia desolante di questi giorni che ci indigna e ci offende come cittadini.
Ma poi succede un fatto diverso, nuovo, carico di speranze ed aspettative. RAI2 decide di mandare in onda l’unico film in circolazione dedicato ad una delle pagine più buie e drammatiche della storia repubblicana, e cioè la “Trattativa Stato-mafia ‘92/’94”, trasmettendo in prima serata “La Trattativa” di Sabina Guzzanti, film oggetto di un’ostinata quanto duratura censura per tenere nascosta agli italiani la Verità su quella sanguinosa stagione delle stragi siciliane del ‘92 e del continente del ‘93 ed il suo epilogo con quella scellerata “trattativa”. Trattativa scellerata perché ha seminato vittime innocenti, avendo favorito il divampare della strategia stragista, prima di arrestarla definitivamente in virtù – però – di un osceno patto fra Stato, politica e mafia, che ha prodotto la pax mafiosa, ma anche la politica di corruzione e impunità che ha dominato il nostro Paese per decenni, e che ancora oggi dilaga.
La cosa mi suscita viva soddisfazione, legittima da parte di chi – come me – è stato l’“ideatore” di quell’indagine, di cui mi sento in qualche modo “padre”, anche in quanto coordinatore del pool che ha poi portato avanti il dibattimento di primo grado. Ed alla soddisfazione ha fatto seguito la legittima aspettativa che si potesse così colmare una grave lacuna e si potesse rimarginare la ferita per questa censura e disinformazione, tanto più grave perché non ancora colmata, nonostante una sentenza di Corte d’Assise che già più di un anno fa ha riconosciuto fondate le “nostre” accuse. Aspettativa incoraggiata dalla notizia che al film, che comunque è opera artistica e non di informazione, avrebbe fatto seguito una trasmissione di informazione e di approfondimento, con interviste e “qualificati” ospiti in studio (non sapevo ancora chi fossero…).
Ma l’aspettativa, positivamente confermata dalla visione del film che già conoscevo (e riportava ampiamente – anche in modo testuale – le mie conclusioni nella requisitoria al processo Dell’Utri), è stata invece gravemente delusa dal “post-film”: interviste tutte a senso unico, e cioè nel senso più critico possibile verso il processo e la sentenza, ed un dibattito parimenti a senso unico e cioè aspramente e radicalmente critico contro l’indagine, il processo, la sentenza, e gravemente offensivo contro i magistrati che hanno indagato (me, in particolare), con affermazioni gravissime che hanno falsificato la realtà dei fatti, storici e processuali, ed hanno così incrementato, invece di fronteggiare, la disinformazione imperante sul tema. A cominciare dal “conduttore” del programma, che ha perfino denunciato (mentre è in corso il processo d’appello!) presunte (ed inesistenti!) “contraddizioni” della sentenza di condanna, dimostrando di essere assai digiuno del caso giudiziario e delle regole processuali che lo governano; per proseguire con l’on. Gasparri (non si capisce perché fra gli ospiti ci dovesse essere un solo “politico”, proprio della parte politica più coinvolta nella vicenda processuale, essendo fra i condannati del processo l’ex Senatore Marcello Dell’Utri, fondatore del partito politico di Gasparri), il quale ha letteralmente urlato ripetutamente falsità e offese, sostanzialmente incontrastato ed incontrastabile da un conduttore compiacente, da un giornalista (Giovanni Bianconi del Corriere della Sera) preparato ma timido come sempre, e da un Marco Travaglio messo “a distanza”, e cioè in collegamento esterno; ed infine l’ineffabile Giuseppe Sottile, giornalista che ha impiegato buona parte dei suoi giorni per denigrare ed attaccare i magistrati dei pool antimafia di ogni tempo (finché in vita…), da Giovanni Falcone (che – a suo tempo – lo interrogò a proposito dei suoi legami coi famigerati cugini Salvo), fino a Gian Carlo Caselli, e poi Scarpinato e Di Matteo, oltre che lo scrivente.
Insomma, un florilegio di falsità, offese, mistificazioni e disinformazioni, trasformatosi in un vero e proprio “tiro al bersaglio” mediatico, sapientemente agevolato dal conduttore e da una regia “sincronizzata”, che teneva pronte le foto da mandare in video ogni qualvolta Gasparri e Sottile cambiavano l’obiettivo del proprio bersaglio: ora la foto di Ingroia, e giù l’attacco concentrico su Ingroia; poi la foto dell’on. Calogero Mannino, e giù la “tirata” sul c.d. “accanimento giudiziario” contro l’unico imputato assolto in primo grado per il reato di “violenza e minaccia contro lo Stato”, e così via.
Alla fine, ai sentimenti di soddisfazione e speranzosa aspettativa che erano cresciuti in me prima di assistere a questo “spettacolo” sono subentrati sentimenti di profonda delusione ed indignazione, non tanto e non solo per le ripetute offese personali subite senza contraddittorio, ma anche per l’ennesima occasione