Dell’Utri andrà ai domiciliari. Adesso difendiamoci dai negazionisti

di Francesco Bertelli

L’anello di congiunzione” fra Cosa nostra e lo Stato, il soggetto “cinghia di distribuzione” tra la mafia e gli interessi di Silvio Berlusconi, ovvero, Marcello Dell’Utri, uscirà dal carcere. A deciderlo sono stati i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Roma. La patologia cardiaca di cui dell’Utri soffre ha subito un recente e significativa o aggravamento rispetto alle pregresse condizioni e non sono secondarie le negative ricadute di altri fattori complicanti quali l’età, 77 anni, il trattamento radioterapico, la malattia oncologica e le condizioni psichiche. I sanitari hanno segnalato il rischio di morte improvvisa per eventi cardiologici acuti e hanno concluso per la non compatibilità col carcere”. Così si legge nelle motivazioni dei giudici. Dopo mesi di richieste i legali dell’ex senatore di Forza Italia hanno portato a casa il risultato tanto sperato. Le ultime due relazioni effettuate il 28 giugno e il 5 luglio hanno sancito un grave peggioramento nelle condizioni di salute. Per questo motivo i giudici ritengono che Dell’Utri non possa più stare in carcere in queste condizioni ma deve scontare il resto della pena agli arresti domiciliari fino a che le sue condizioni non migliorino.

Fermo restando che il diritto alle cure non deve essere negato a nessuno, vi è una riflessione da fare. Visto l’unanime coro del mondo politico che in questi ultimi mesi (ma anche anni) ha usato opinioni più da tifo che da senso di diritto nei confronti della scarcerazione di Dell’Utri, bisogna sempre precisare che nei confronti dell’ex senatore non vi è mai stato un “accanimento alla sua persona”. Fino a pochi meso fa, sia a febbraio che ad aprile 2018, il Tribunale di Sorveglianza aveva considerato Dell’Utri come un soggetto pericoloso, con il rischio che una volta ai domiciliari sarebbe potuto fuggire. Sia ben chiaro: in un contesto come quello italiano in cui i colletti bianchi in carcere sono sempre stati un fenomeno raro e sempre osteggiato dal mondo politico, pur davanti a elementi probatori schiaccianti, è opportuno precisare che sul caso Dell’Utri il carcere , come per qualsiasi detenuto, ha avuto le sue strutture mediche e i suoi programmi di cure che hanno svolto le loro funzioni nel pieno rispetto della legge. Visto che viviamo nella patria del garantismo indescriminato, visto anche c’è il rischio di gridare al trionfo da parte dei negazionisti dei rapporti tra mafia e mondo berlusconiano si dimentica che i detenuti sono sottoposti a visita medica generale all’atto dell’ingresso in istituto e a periodici riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati (art. 11, 5° comma, O.P.). Inoltre è loro assicurata la possibilità di richiedere di essere visitati a proprie spese da un sanitario di fiducia (art. 11, 11° comma, O.P.), in aggiunta anche  il principio della collaborazione con i servizi pubblici sanitari locali, ospedalieri ed extra ospedalieri, per l’organizzazione e il funzionamento del servizio sanitario per i detenuti, consentendo di ritenere quest’ultimo, anche per effetto delle previsioni del regolamento penitenziario, “come una funzione a cui le risorse esterne direttamente e continuamente collaborano. Insomma esistono dei sistemi, conformi alla legge e alla tutela della persona umana, che consentono di curare tranquillamente un detenuto all’interno delle carceri. Questo non significa essere “inumani” o praticare forme di “accanimento”. Significa rispettare la legge.

Altro punto. Il 20 aprile Dell’Utri ha ricevuto una seconda condanna al processo sulla trattativa Stato-mafia per il reato di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Vale la pena precisare che tutte le decisioni prese da qualsiasi Tribunale vanno rispettate. Da oggi Dell’Utri andrà ai domiciliari e ne prendiamo atto. Ma siccome si griderà, da parte dell’esercito dei negazionisti, all’accanimento e alla persecuzione giudiziaria, non bisogna dimentare cosa scrivevano i giudici della Cassazione al processo Dell’Utri, in  cui l’ex senatore fu condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Marcello Dell’Utri per 18 anni, dal ’74 al ’92 è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra e << la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra>>. Così si leggeva nelle motivazioni.
Anche questa sentenza del 2014 va rispettata, in quanto è storia e non possiamo permetterci di negarla, ne va del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro.