Conferenza di Antimafia Duemila del 17 luglio 2019 a Palermo: STRAGE di STATO – Sulle orme dei mandanti esterni

di Enza Galluccio

Aaron Pettinari, caporedattore di Antimafia Duemila, ha condotto l’evento che anche quest’anno il sito d’informazione online ha realizzato nell’atrio di Giurisprudenza in via Maqueda a Palermo.
Nel corso del convegno è intervenuto personalmente Guido Lo Forte, l’ex pm che è stato anche sostituto e procuratore aggiunto a Palermo e procuratore capo della Repubblica a Messina, oltre ad aver curato il processo Andreotti in primo grado. Lo Forte ha nominato uno per uno le persone addette alla scorta di Paolo Borsellino che hanno perso la vita con lui. Essendo accorso tra i primi nel luogo della strage, ha ricordato di aver visto le
membra di Emanuela Loi che quel giorno si trovava lì per caso, avendo dovuto sostituire un collega assente.
L’ex pm ritiene che la manipolazione mediatica consideri la mafia come un fenomeno risultante
dall’arretratezza delle regioni del sud mentre, invece, essa è il risultato di un’evoluzione dello Stato.
Quando la magistratura si occupa delle collusioni tra mafie, economia e parti dello Stato, i
magistrati coinvolti in questo tipo di inchieste sono dovuti passare dal proprio ruolo di accusatori a quello di accusati, come successe a Falcone.
Secondo Lo Forte c’è ancora molto altro da approfondire per comprendere le stragi, nonostante le ultime due sentenze, quella del Borsellino quater e quella del processo sulla trattativa Stato-mafia, pur trattandosi di sentenze di primo grado, abbiano permesso di fare dei notevoli passi avanti.
Tuttavia, l’ex magistrato ha ricordato che una cosa sono le sentenze dei tribunali altra cosa sono i giudizi politici, i quali non hanno bisogno di ulteriori conferme per concedere di trarre delle
conclusioni.
Già il tribunale di Firenze aveva sancito l’esistenza della trattativa, a Palermo si è tradotta in reato tale trattativa e se ne è sancita la condanna.
Per Lo Forte con la mafia esistono relazioni di compromesso, di accettazione, di collaborazione e anche di cooperazione, come quella che ha riguardato le stragi del ’92.

Antonio Ingroia nel suo contributo video ha affermato che, nonostante l’entusiasmo e i risultati ottenuti negli anni tra il 2010 e il 2012, con le indagini e il processo sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, qualcuno ha cercato di staccare il contatore e intralciare quel percorso di ricerca della verità.
La sentenza in primo grado del processo di Palermo ha confermato, tuttavia, che quanto era stato scoperto corrispondeva a verità.
Così come la sentenza di Caltanissetta ha confermato che il depistaggio di via D’Amelio è stato il frutto di un’iniziativa di quello stesso Stato che ha voluto quella strage.
Mancano ancora i mandanti di quel depistaggio e manca ancora un processo sulla trattativa bis, come si sarebbe dovuto fare dopo la sentenza del primo processo: la trattativa inizia con Vito
Ciancimino come tramite e finisce con Marcello dell’Utri. Che cosa è successo in mezzo? Chi dopo l’arresto di Ciancimino ha svolto il ruolo di di intermediatore con Provenzano? Solo Dell’Utri?
Ha affermato ancora l’ex magistrato, riferendosi al fatto che, probabilmente, quest’ultimo sia entrato ufficialmente in campo soltanto nel ’94, con il governo Berlusconi.
Tocca, poi, alla situazione attuale del pm Di Matteo, definito da Ingroia “memoria storica” delle indagini sulle stragi di quegli anni, e alle controversie sul suo allontanamento dal pool antimafia, del Procuratore Nazionale Antimafia Cafiero de Raho, per volontà di alcuni magistrati. L’ex magistrato considera il contesto attuale “poco promettente” e auspica che questo Csm possa ripristinare le cose come stavano, affermazione che suona come un invito a riflettere.

Giorgio Bongiovanni, nel suo lungo intervento, ha affermato che la solidarietà alla magistratura è
sempre stata presente nei convegni di Antimafia Duemila ma, strada facendo, tuttavia, si è dovuto ammettere che ci sono magistrati e magistrati.
Alcuni sono morti “per amore” come disse anche Paolo Borsellino, ma non tutta la magistratura appartiene a quella tipologia.
In quest’occasione, il fondatore del sito d’informazione ha parlato a nome di quelle centomila persone che hanno firmato per chiedere sostegno e per dare solidarietà al pm Nino Di Matteo, affinché sia reintegrato nel pool antimafia, ponendosi concretamente l’obiettivo di trovare i nomi di coloro che erano mandanti esterni alla mafia .
Nino Di Matteo è stato trattato come Falcone, accusato di voler essere una “prima donna” e di girare nei vari comuni d’Italia alla ricerca di cittadinanze onorarie. Anche lui è stato oggetto di lettere anonime proprio come quelle del “corvo”, l’anonimo che scriveva a Falcone.
Nel 2013, infatti, arriva la prima lettera che parla di “amici di Roma” di Matteo Messina Denaro che vorrebbero l’eliminazione del magistrato. Bongiovanni ha elencato una serie di drammatici fatti che hanno costellato il percorso del magistrato, il quale è stato più volte minacciato di morte, essendo un pm “chiave” in processi estremamente importanti per il conseguimento della verità. Quello di Bongiovanni è stato un atto di accusa molto forte, spesso urlato, verso quella parte della magistratura che si è posta di traverso nei confronti della nomina di Di Matteo all’interno del pool e ha chiesto a quei magistrati di rendere noti quali siano i motivi relativi a quella volontà di fermare il suo operato.

Roberto Tartaglia, pm di Palermo e oggi consulente della Commissione antimafia, con il suo contributo in video, ha confermato che ci sono ancora numerosi interrogativi che riguardano la
strage di via D’Amelio. Tra le prime ha collocato le domande sul perché si sia decisa un’accelerazione sui tempi di realizzazione di quella strage e su chi fosse a conoscenza del
contenuto dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, scomparsa dopo l’esplosione, e così via con molti altri punti rimasti sospesi.

Nicola Morra, senatore e presidente Commissione antimafia, infine, nel suo video intervento ha sostenuto che il 41 bis ha segnato uno spartiacque profondo nella storia del contrasto alle mafie. Il Presidente della Commissione ritiene anche che il contenuto dell’agenda rossa possa essere oggetto di indagini non solo per la Commissione che egli presiede, lasciando forse intendere un’intenzione più ampia, oppure solamente una promessa.
La serata si è conclusa con le parole di Salvatore Borsellino, fratello del Giudice e fondatore del
“Movimento delle agende rosse”, che ieri [16 luglio 2019, ndr] ha rifiutato l’invito a presenziare alla desecretazione delle audizioni del Magistrato ucciso via D’Amelio.
Salvatore ha spiegato di aver inviato una lettera alla Commissione Antimafia, nella quale ha
affermato di non accettare che gli atti del fratello fossero restituiti a “pezzi”, come è avvenuto del suo corpo 27 anni fa, e ha anche chiesto la desecretazione degli atti relativi a tutte le stragi italiane,
da Portella della Ginestra in poi.
Nel suo intervento ha inoltre richiesto la restituzione della famosa agenda rossa, scomparsa il giorno della strage dopo essere passata tra le mani dell’ex pm Giuseppe Ayala, il quale ha dato
dieci versioni diverse e non ricorda più a chi l’ha ceduta, ha aggiunto in conclusione.
Salvatore Borsellino, infine, ha parlato delle intercettazioni telefoniche tra ‘ex presidente Napolitano e Nicola Mancino, criticando duramente la loro distruzione imposta dallo stesso Napolitano.