“La mia misura cautelare non deve diventare una condanna a morte”

di Mario Bovenzi

Il dott. Dmitry Chirakadze, arrestato lo scorso 13 giugno perché, secondo la procura di Milano, avrebbe organizzato l’evasione dell’imprenditore russo estradando in USA Artem Uss, facendo da mediatore tra la famiglia di quest’ultimo e gli uomini che materialmente hanno reso possibile la fuga, si ritrova ad affrontare un grave tumore alla prostata facendo i conti con le decisioni del Tribunale di Milano che, ancora una volta, ha rigettato la richiesta di avvio immediato della terapia oncologica, dopo l’intervento di prostatectomia, presso l’Ospedale San Raffaele, avanzata dai suoi difensori Avv. Della Marra e Avv. Sinicato. 
Il calvario di Chirakadze era iniziato nel giugno del 2024, quando, in maniera del tutto imprevista ed imprevedibile, era stato arrestato all’aeroporto di Roma Fiumicino, prima di imbarcarsi sul volo per Ginevra, dove era diretto per effettuare una seconda lettura dei campioni di materiale istologico, già analizzati in una famosa clinica di Mosca, che aveva dato la terribile diagnosi di tumore maligno “a rischio intermedio sfavorevole secondo le linee guida della Pratica Clinica in Oncologia”.

L’arresto in Italia e la successiva custodia cautelare nel carcere di Milano – Opera hanno impedito al sig. Chirakadze di iniziare le cure oncologiche programmate per i primi di luglio del 2024. Nonostante la grave patologia in atto, il detenuto ha dovuto prenotare autonomamente, rispettando i tempi di attesa, una visita specialistica presso l’Ospedale San Raffaele, disponibile solo per il 24 luglio 2024, ma la richiesta di autorizzazione era stata rigettata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano che si era limitata a consentire al medico-chirurgo di recarsi in carcere. Ed è proprio in tale occasione che si è manifestata in tutta la sua evidenza l’incapacità della struttura carceraria di gestire la situazione, dato che tale visita è stata disposta in una ordinaria sala adibita a colloqui con gli avvocati. In tali precarie condizioni igienico-sanitarie, il medico si è trovato costretto a visitare il paziente, senza il supporto di alcun presidio medico e/o di alcuna strumentazione, confermando comunque, sulla base della documentazione clinica mostratagli dal detenuto, la necessità di effettuare l’operazione chirurgica volta a rimuovere il tumore.

Sempre autonomamente, tramite i propri difensori, Chirakadze è riuscito a fissare la data dell’intervento chirurgico presso l’Ospedale San Raffaele per il 25.09.24, con ricovero il 23.09.24 al fine di eseguire i necessari accertamenti preoperatori. Ricevuta la richiesta di autorizzazione all’operazione il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto perizia medico-legale per valutare la compatibilità della patologia in atto col regime carcerario. E all’udienza di conferimento dell’incarico peritale il detenuto ha avuto l’occasione di lanciare l’ennesimo grido d’allarme denunciando che non era stato eseguito alcun esame specifico che consentisse di monitorare il decorso della malattia e che le condizioni carcerarie erano estremamente dure anche perché si è ritrovato, seppure ancora in attesa di giudizio, detenuto insieme a condannati in via definitiva per reati gravissimi.

Non solo. Perché il Pubblico Ministero aveva addirittura messo in dubbio il fatto che il sig. Chirakadze fosse malato, lasciando intendere che non vi era prova che i campioni biologici sulla base dei quali era stata diagnosticata la malattia fossero effettivamente a lui riconducibili. Il perito medico legale aveva tuttavia riconosciuto l’incompatibilità della permanenza in carcere del detenuto nel periodo operatorio e postoperatorio, disponendo che, successivamente all’operazione, la condizione clinica del paziente andasse rivalutata. Sennonché il giudice per le indagini preliminari, senza disporre alcuna rivalutazione delle effettive condizioni cliniche dopo l’operazione, aveva deciso il rientro in carcere del sig. Chirakadze, non tenendo in alcun conto le effettive condizioni di salute del paziente. E da tale momento, nonostante le precise indicazioni date dal medico-chirurgo all’atto delle dimissioni, il detenuto-paziente è stato del tutto abbandonato alla sua sorte dalla struttura carceraria, che non ha posto in essere alcuna delle prescrizioni mediche circa le analisi da effettuare, i medicinali da prendere, ed i trattamenti da porre in essere secondo le cadenze prescritte.

Il 7 ottobre scorso Chirakadze, nel corso di una conversazione telefonica con la parente , aveva riferito di avvertire un forte dolore alla pancia, un senso di gonfiore e di sentirsi male. Tali sintomi erano stati riferiti al Professore Alberto Briganti che aveva ritenuto necessaria una visita urgente presso l’Ospedale San Raffaele, in consulto col chirurgo generale che aveva effettuato il secondo intervento presso lo stesso ospedale, in quanto una visita in ospedale avrebbe consentito di avvalersi di strumenti diagnostici di imaginig e di gestire qualsiasi urgenza.

L’indomani, il GIP aveva chiesto al medico del carcere una relazione sulle condizioni di salute del detenuto al fine di provvedere sulla visita richiesta. Solo in seguito a tale richiesta da parte dell’Autorità Giudiziaria, il 9 ottobre (quindi, dopo ben due giorni) il medico del carcere, dott.ssa Silvia Cornalba, per la prima volta dalla data delle dimissioni, si recava a verificare le condizioni di salute del detenuto e praticava una medicazione della ferita chirurgica (ben quattro giorni dopo le dimissioni). Nella sua relazione aveva confermato che il paziente “lamenta algia addominale” concludendo che “da quanto si evince dalla visita del collega, non si ravvedono urgenze in essere”. Da tale certificazione si evinceva chiaramente che il paziente non era stato sottoposto ad alcuna visita e che non era stata effettuata una ecografia o altro esame strumentale per ricercare il motivo dell’algia addominale in quanto veniva “interpretato” lo scritto del collega e sulla base di esso esclusa “un’urgenza”.

Tutte le istanze che lamentavano la totale assenza di cure e l’abbandono del paziente con grave pericolo per la sua salute e per la stessa vita sono rimaste inascoltate da parte dell’autorità carceraria e sono state rigettate dall’autorità giudiziaria che, da un lato si accontentava delle rassicurazioni offerte dalla casa di reclusione di Opera che si era sempre “dichiarata in grado di seguire il detenuto in oggetto e di programmare gli esami e gli interventi necessari” e, dall’altro, arrivava a sostenere che mancava la prova delle omissioni lamentate dalla difesa. Ed intanto nessuna delle scadenze mediche prescritte all’atto delle dimissioni veniva rispettata dalla struttura carceraria che pure aveva preso in consegna il detenuto, rivestendo rispetto a lui una posizione di garanzia, rivelatosi del tutto inadeguata. Tanto che il medico chirurgo che aveva operato il sig. Chirakadze, allertato dalla difesa, precisava, con una lettera del 6 dicembre, che il ritardo nell’effettuazione delle analisi post operatorie e dell’ecografia addominale “potrebbe portare all’utilizzo di strategie terapeutiche ritardate con possibile impatto negativo sulla prognosi del paziente”.

Ancora, la prima analisi tesa a rilevare un marcatore tumorale prescritta per il 10 novembre veniva effettuata, a seguito di richiesta di scarcerazione della difesa solo il 30 gennaio !

Ma appare ancora più grave il fatto che il risultato di tale analisi essendo stato ritenuto “nella norma” dai medici del carcere è stato comunicato con oltre un mese di ritardo, laddove era palesemente evocativo del fatto che la patologia tumorale non era stata debellata, ma aveva ripreso il suo corso, rendendo necessario un nuovo approccio diagnostico e terapeutico ormai in ritardo di circa quattro mesi.

Tale circostanza ha mostrato ancora una volta l’assoluta inadeguatezza della struttura carceraria ed il pericolo al quale il sig. Chirakadze è tuttora esposto finché resterà in carcere.

A questo punto, gli avvocati hanno nuovamente sottoposto al Giudice la situazione di grave pericolo per la vita del detenuto e, soltanto dopo ulteriori istanze rigettate e con molte difficoltà, hanno ottenuto finalmente, ma solo il 13 marzo scorso, l’autorizzazione ad un breve ricovero all’Ospedale San Raffaele per effettuare le analisi prescritte.

Poiché l’esito di tali esami, purtroppo, ha confermato l’ingravescenza della malattia e la necessità di ulteriori cure radioterapiche e farmacologiche, è stato previsto un piano terapeutico palesemente incompatibile con la detenzione, come risultava dalla relazione peritale del perito nominato dal giudice in sede di indagini preliminari, per il caso che, dopo l’intervento chirurgico di asportazione del tumore, si fosse ravvisata la necessità delle cure ivi contemplate. Ma neanche tale grave situazione ha aiutato il Tribunale ad affrontare con maggiore ragionevolezza il caso, tanto che ha disposto una nuova perizia per accertare “di quale patologia Chirakadze Dmitry è attualmente afflitto; se tale patologia è compatibile con la permanenza in carcere; se le prescrizioni terapeutiche previste dall’Ospedale San Raffaele di Milano sono adeguate alla cura della patologia di cui lo stesso attualmente soffre; se le cure previste dal San Raffaele possono essere postergate senza che ciò comporti pregiudizio al diritto alla salute del detenuto”, incaricando di una perizia così delicata e complessa un giovane medico, specialista di medicina legale, ma certamente non specializzato in oncologia e/o radiologia, incaricato dunque di fare diagnosi oncologica, non essendo sufficiente quella risultante dall’intervento di asportazione del tumore subito nel corso della detenzione, di valutare ex novo la compatibilità della terapia con la permanenza in carcere, evidentemente non ritenendo sufficiente l’accertamento peritale in tal senso già effettuato dal perito d’ufficio nel corso del processo, di valutare se le prescrizioni previste dall’Ospedale San Raffaele (ovvero dai professori all’avanguardia in Italia su questo terreno!) siano adeguate alla cura, e se la cura praticata in gravissimo ritardo possa essere ulteriormente postergata.

Già dall’udienza del 10 marzo il Chirakadze aveva già denunciato tutto ciò ed altro, dichiarando in aula: “Io sono in una cella senza finestre nel sottosuolo. Mi hanno bucato le mani ma non mi hanno preso il sangue. Ogni volta che cercano di prendermi il sangue mi vengono ematomi come un pallone. Per quattro volte dal carcere hanno scritto al Tribunale che ho ricevuto cure mediche, ma non è così. Ho bisogno di ricevere le cure necessarie in carcere. Mi è stata negata la
possibilità di fare gli esami. Mi dicono in carcere che non è il loro lavoro. Non ho
intenzione di scappare da nessuna parte. Perché ancora questa custodia cautelare?”.
Ed ancora, all’ultima udienza del 7 aprile, si rivolgeva al magistrato giudicante Ombretta Malatesta del Tribunale di Milano: “ La mia misura cautelare non deve diventare una condanna a morte. Posso anche rinunciare di venire in udienza purché mi faccia iniziare la radioterapia. È urgente!”.
Ma parere del giovane medico legale nominato dal Tribunale per verificare la compatibilità con il regime carcerario della malattia oncologica diagnosticata al Chirakadze dai medici del San Raffaele, non solo vi sussisterebbe tale compatibilità ma non vi sarebbero rischi al differimento dell’inizio della terapia.

Ma la Procura va avanti per la sua strada e, preso atto di quanto affermato dal medico legale nella propria perizia, ha affermato in aula: “Non siamo davanti ad una recidiva propriamente intesa. Il perito ci dice che nulla accadrebbe se si rinviassero le cure tra due settimane.”
Allora, a seguito delle dichiarazioni spontanee dell’imputato, e su richiesta dei propri difensori, alla successiva udienza dell’11 aprile veniva sentito il consulente medico legale della Procura che ha sostenuto, a gran voce, la possibilità di differire la radioterapia “di salvataggio” in quanto non vi sarebbero studi scientifici che testimonierebbero una rapida evoluzione negativa della malattia in caso di differimento della radioterapia di due settimane.

E’ questa la cronaca delle ultime udienze dedicate alla questione della salute di Dmitry Chirakadze, che, oltre ad essere un caso assai complesso politico-giudiziario, con le varie violazioni denunciate dall’imputato e dai suoi difensori, è ormai un terribile caso umano, che presenta profili di violazione dei diritti umani.