Gli strani lapsus del generale Mori

di Francesco Bertelli

Un faccia a faccia tra Giovanni Minoli e l’ex generale Mario Mori. Su La7 è andata in onda una lunga intervista a tutto campo molto interessante in cui Mori, condannato in primo grado dalla Corte d’Assise di Palermo al processo sulla trattativa fra Stato e Mafia a 12 anni per minaccia a corpo politico dello stato (art.338 c.p.), ha spiegato la sua posizione ed ha espresso il suo giudizio in merito alla sentenza.

“Se fossi stato io sarei un folle ad aver organizzato un affare simile, non dovrei andare in carcere ma in una clinica neuro-psichiatrica”, ha affermato l’ex generale. “Sono le stesse carte, le stesse vicende e gli stessi testimoni del processo di favoreggiamento a Provenzano in cui sono stato assolto – ha aggiunto – Mi sono innervosito e poi ho deciso di continuare a difendermi. Penso che sia un processo ormai debordato dal campo penale per entrare in quello storico-ideologico. Qui si fa l’analisi di un periodo storico più che esaminare le colpe di qualche imputato”.

Ma è ripercorrendo il suo passato che il Generale è incappato in un paio di “lapsus freudiani” molto interessanti che meritano di essere ascoltati e approfonditi.

Il primo riguarda quella che lo stesso Mori ha definito una volta la sua “grande sconfitta”, ossia la cattura di Riina il 15 gennaio 93. Perché sconfitta? Perché, ha spiegato, “quel giorno io avrei dovuto avere la forza di applicare il nostro sistema cioè perquisire…”. Si è fermato qui, per poi riprendere correggendo il tiro: “cioè proseguire il pedinamento”. Che la dichiarazione spontanea e alquanto improvvisa di Mori vada a centrare il nocciolo di quella torbida e misteriosa vicenda sulla mancata perquisizione del covo di Riina è un caso oppure no? Semplice errore? Ovvero a volte la verità esce prepotente, malgrado la volontà di chi ne viene travolto? E’ insomma l’inconscio che trapela contro la volontà di chi la vorrebbe negare?

Ma non è tutto. Alla domanda su quale fosse il carattere principale del fu capo dei capi, l’ex Generale è incorso nel secondo lapsus: “Un’assoluta moralità, un egocentrismo molto accentuato”. Moralità anziché amoralità. E infatti Minoli è intervenuto per correggere.

Non si può fare a meno di ricordare la prima deposizione in tribunale, quando l’ex comandante dei Ros raccontò in aula come si avviò la Trattativa Stato-mafia. Come ‘un muro contro muro’ tra lo Stato e la Mafia: “Ma non si può parlare con questa gente?”, chiese Mori a Vito Ciancimino in un incontro avvenuto a Roma nell’estate 1992. “La buttai lì, convinto che dicesse una cosa tipo ‘Cosa vuole da me’. Invece disse che si poteva fare”.

La domanda sorge spontanea: è normale che un uomo delle istituzioni, che dovrebbe avere a cuore il senso dello Stato, si meravigli del “muro contro muro”, cioè mafia da una parte e Stato dall’altra? E poi: è normale che l’ex capo dei Ros, condannato a 12 anni in primo grado per minaccia a corpo polito dello Stato, vada in televisione senza che vi sia un contraddittorio, una replica sul suo operato, definito nella requisitoria del pm Roberto Tartaglia al processo Stato-mafia, “da sempre oltre o contro le regole”?

Ma soprattutto: sono stati due lapsus freudiani quelli dell’ex generale?