Caso Dell’Utri, quando si confonde il diritto alla salute con la pericolosità sociale

 di Francesco Bertelli

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto la richiesta di scarcerazione per l’ex senatore Marcello Dell’Utri. La scarcerazione era stata chiesta nelle settimane scorse dai suoi legali per motivi di salute, con proposta di arresti domiciliari presso l’istituto Humanitas di Milano.  Nei giorni scorsi anche la Procura generale si era opposta alla liberazione dello storico braccio destro di Silvio Berlusconi. Le motivazioni dei giudici del Tribunale di Sorveglianza vanno sulla stessa linea e aggiungono anche altro. “La posizione giuridica di Dell’Utri non è in alcun modo rassicurante: la sentenza in esecuzione ha accertato i suoi rapporti con i vertici di Cosa nostra dai primi anni ’70 al 1992. Allarmante appare la pregressa latitanza in Libano, avvenuta nel 2014, vale a dire poco meno di quattro anni fa, nonostante l’età, la patologia cardiaca e le altre affezioni già all’epoca presenti”, hanno spiegato i giudici. E inoltre: “Non appare adeguato il regime domiciliare presso l’ospedale milanese o l’abitazione personale, da cui può facilmente allontanarsi rilevando che le terapie previste non consentono nemmeno l’applicazione di strumenti elettronici di controllo”. 

Inevitabili le posizioni contrastanti del mondo politico (in maniera molto trasversale) e giornalistico. Del resto la confusione regna sovrana ogni volta che si associa Marcello Dell’Utri con il suo stato di salute, ritenuto dai familiari e dai difensori troppo precario per consentire la sua permanenza in carcere. Come se le strutture carcerarie non prevedessero un sistema di cura per i detenuti con problemi di salute.

La moglie dell’ex senatore ha parlato di un “accanimento contro cui non c’è nulla da fare”. Sempre la moglie ha proseguito sostenendo che “è una sentenza assurda che va a nuocere non solo alla salute di mio marito e alla nostra famiglia, ma allo Stato di diritto, perché i principi della Costituzione non vengono assolutamente rispettati”.

Occorrono fare un paio di precisazioni. La prima riguarda proprio il sistema di cure previste dal sistema carcerario. La tutela della persona umana è garantita anche all’interno delle carcere attraverso strutture specifiche che consentono ai detenuti di curarsi all’interno. Ma forse, per molti ambienti che ruotano attorno allo Stato, Dell’Utri è un detenuto un po’ meno uguale degli altri.

Si dimentica che certi principi, costituzionalmente garantiti , sono previsti anche all’interno delle carceri: non solo l’umanizzazione e la funzione rieducativa della pena, ma interviene anche una normativa sovranazionale (art. 3 delle Regole penitenziare europee) che proibisce la sottoposizione del detenuto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, specie laddove si afferma che la finalità del trattamento “deve essere quella di salvaguardare la salute e la dignità”.

Si dice che Dell’Utri abbia un tumore e problemi cardiaci: nessuno mette in dubbio questo. Ma si dimentica che i detenuti sono sottoposti a visita medica generale all’atto dell’ingresso in istituto e a periodici riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati (art. 11, 5° comma, O.P.). Inoltre è loro assicurata la possibilità di richiedere di essere visitati a proprie spese da un sanitario di fiducia (art. 11, 11° comma, O.P.), in aggiunta anche  il principio della collaborazione con i servizi pubblici sanitari locali, ospedalieri ed extra ospedalieri, per l’organizzazione e il funzionamento del servizio sanitario per i detenuti, consentendo di ritenere quest’ultimo, anche per effetto delle previsioni del regolamento penitenziario, “come una funzione a cui le risorse esterne direttamente e continuamente collaborano. Insomma esistono dei sistemi, conformi alla legge e alla tutela della persona umana, che consentono di curare tranquillamente un detenuto all’interno delle carceri. Questo non significa essere “inumani” o praticare forme di “accanimento”. Significa rispettare la legge.

Ma c’è dell’altro. I giudici del Tribunale di sorveglianza hanno ,nelle loro motivazioni, fatto un importante riferimento alla recente richiesta dell’accusa  di condanna per Dell’Utri a 12 anni al processo Trattativa Stato-mafia per il reato di violenza o minaccia ad un corpo politico dello Stato.

Si dimentica il fatto che ne 1993 Marcello Dell’Utri si è reso disponibile a veicolare il messaggio intimidatorio per conto di Cosa nostra, cioè fermare le bombe in cambio di norme per l’attenuazione del regime carcerario. Ciò è avvenuto quando un nuovo governo si era appena formato, nel marzo del 1994, con la nomina di Silvio Berlusconi alla carica di presidente del consiglio.

La Cassazione ha sottolineato il rapporto paritario tra Berlusconi e Dell’Utri. Tutti ci ricordiamo che nell’estate del 2014 , nella sentenza di condanna venne definito come l’ambasciatore di Cosa Nostra all’interno dello Stato. Marcello Dell’Utri per 18 anni, dal ’74 al ’92 è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra e << la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra>>. Così si leggeva nelle motivazioni.

I giudici del Tribunale di sorveglianza hanno messo l’accento sul pericolo di fuga da parte dell’ex senatore, anche facendo riferimento al suo tentativo fallito in Libano nell’aprile 2014, pochi giorni prima che la Cassazione rendesse definitiva la sua condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ma niente da fare, noi abitiamo in Italia, il Paese delle mezze verità, il Paese del ribaltamento costante della realtà, il Paese dalla memoria corta. Per questo motivo l’azione di riabilitazione della figura di Dell’Utri continuerà anche nei prossimi mesi. I difensori dell’ex senatori cercano da mesi di equiparare il caso dell’Utri con quello di Contrada, ex numero 2 dei Servizi nei confronti del quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato illegittima la condanna inflitta all’ex superpoliziotto, giudicato colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Un reato che per i giudici di Strasburgo non era sufficientemente “non era sufficientemente chiaro“ all’epoca dei fatti contestati a Contrada. Vero e proprio errore giuridico : sostenere , come ha fatto la Corte ,che i fatti contestati a Contrada non sono punibili in quanto non esisteva all’epoca dei fatti il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è follia pura. Le condotte del Contrada sarebbero state comunque sanzionate dal reato di favoreggiamento.

Quindi Dell’Utri è un prigionieri politico e la magistratura si è accanita contro di lui. E’ una tecnica questa che conviene a molti. Rimuovere quello che è uscito dal punto di vista storico intorno all’ex senatore di Forza Italia: negare le sentenze. Negare l’evidenza.

Tutto riconduce a quell’intervista che il 21 maggio 1992 Paolo Borsellino rese a due giornalisti di Canal Plus. Intervista che verrà tenuta nascosta nell’oblio per oltre dieci anni. Lì il giudice Borsellino confermò che c’erano delle indagini a carico di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, mettendo in evidenza le frequentazioni molto opache di questi due personaggi con individui poco raccomandabili come tal Vittorio Mangano. Già ventidue anni fa queste cose si sapevano e a dirle era Paolo Borsellino. Se quell’intervista fosse stata trasmessa  in quel tempo, forse a sapere certi legami, certi rapporti, non sarebbero stati soli gli addetti ai lavori ma anche molti cittadini all’epoca ignari di tutto ciò

Poi sono arrivate stragi e come per magia un paio di anni dopo sono cessate.

Ma questa è un’altra storia. O forse no.