Riina: Berlusconi mi cercava

di Enza Galluccio, autrice di testi sulle relazioni tra poteri forti e mondo criminale

«Dell’Utri è una persona seria […] Berlusconi in qualche modo mi cercava […]gli abbiamo fatto cadere le antenne…». Sono alcuni frammenti delle intercettazioni nel carcere milanese di Opera, e fanno parte delle conversazioni tra il Capo dei capi, Totò Riina, e il suo compagno, la c.d. “dama di compagnia” Alberto Lo Russo.

Nulla di nuovo, ma non se ne parla se non nel luogo in cui queste affermazioni sono oggetto di atti processuali: l’aula bunker di Palermo, durante la requisitoria del pm Nino Di Matteo, il magistrato minacciato di morte durante quegli stessi dialoghi.

È come se esistessero due realtà. Una è quella delle aule di giustizia, l’altra è quella del mondo comune. Nella prima si discutono fatti e azioni, che l’altro mondo percepisce (o, ancor peggio, non percepisce per nulla) come virtuali o appartenenti a una narrazione che, oggi, sembra quasi leggendaria.

Tali fatti e azioni riguardano personaggi della politica che si sono presumibilmente relazionati con il “mondo di sotto” (o di sopra?), quello criminale per eccellenza.

Nella seconda realtà, quella delle persone comuni che ogni giorno (se fortunate) si alzano e vanno a lavorare, prendono mezzi pubblici mal governati, altrimenti s’immergono nel caos del traffico con la propria auto, in una frenetica rincorsa di un tempo che manca sempre.

Sembra essere un mondo concreto, ma non lo è. Esso è caratterizzato da credenze influenzate da un’informazione spesso asservita, condizionata, impotente o assente in certi luoghi, in cui quegli stessi soggetti continuano a far parte della vita politica del nostro Paese.

E lo fanno in modo attivo. Creano coalizioni e condividono campagne per essere eletti in qualche tornata elettorale.

Dunque, due realtà coesistenti, ma in cui la seconda ignora la prima, mentre quest’ultima annaspa tra un attacco personale, e il silenzio dell’informazione.

Entrambe si mostrano come vere e convivono in un sistema in cui tutto è possibile, tutto è credibile.

Qui, a essere messo in discussione, non è certo quel garantismo sano, che pretende di giungere a sentenza avendo a disposizione ben tre gradi di giudizio, una legge sulla prescrizione a orologeria e dei tempi processuali assurdamente caratterizzati da lungaggini burocratiche e nodi di riforme irrisolte (o molto ben risolte per alcuni).

A essere messe in discussione, invece, sono le più antiche regole etico-politiche e deontologiche necessarie per definire il profilo (…Morale? Politico? Civile?) di chi si propone di governare. Regole che tutti conoscono ma fanno finta di dimenticare.

In questo modo c’è chi, con processi in corso e condanne anche per frode fiscale, pesanti accuse di collaborazione con Cosa nostra, testimoniate anche da alcuni collaboratori di giustizia e dalle più recenti intercettazioni del boss Giuseppe Graviano, continua a proporsi come figura politica di riferimento e leader (carismatico? Probabilmente sì, e questo dovrebbe già far riflettere), senza che nessuno sollevi almeno ragioni di opportunità, neanche chi, a parole, lo definisce “avversario politico”.

Per tutto ciò, è diventato normale subire i discorsi carichi di propositi, sempre uguali e mai concretizzati, da parte di donne e uomini politici che, magari, fino a ieri (e forse ancora oggi) hanno avutola necessità o il piacere di parlare, chiedere protezione se non addirittura fare affari con la mafia e con altri sistemi criminali.

Così, si genera un’indifferenza pilotata dell’opinione pubblica, ed è facile, visto che il risultato è anche quello di placare l’ansia di vivere in questo mondo assurdo.