‘Ndrangheta stragista: ”Non parlo più”, il boss Graviano cambia strategia

 

di Aaron Pettinari

(Antimafia2000)

Lo ha comunicato in udienza tramite il proprio avvocato
Sentito anche il collaboratore di giustizia Diego Zappia

Dopo quattro udienze di “Giuseppe Graviano show”, tra detto, non detto, mezze parole e “balletti” per quel mancato ascolto delle intercettazioni tra lui ed il boss di Camorra Umberto Adinolfi, il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano cambia strategia e torna a rinchiudersi nel proprio silenzio.
In altre occasioni, intervenendo dal carcere di Terni, aveva sempre preso la parola per manifestare la propria volontà. Oggi no. Tramite il proprio avvocato ha comunicato la propria decisione di non sottoporsi più all’esame dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria nel processo ‘Ndrangheta stragista, dove si trova imputato assieme al Mammasantissima di Melicucco, Rocco Santo Filippone, come mandante degli attentati contro i carabinieri avvenuti in Calabria tra la fine del 1993 ed il 1994 e in uno dei quali furono uccisi i sottufficiali Antonino Fava e Vincenzo Garofalo mentre pattugliavano l’autostrada Salerno-Reggio Calabria all’altezza dello svincolo di Scilla.
A lungo sembrava che il proseguo della sua audizione fosse legato all’ascolto degli audio registrati nel carcere di Ascoli, durante i passeggi avuti con la sua “dama di compagnia”, ma non era così.
“Il mio assistito – ha detto in aula il difensore del capomafia siciliano, Giuseppe Aloisio – intende rinunciare all’esame delle parti non per timore di affrontare le domande che gli sarebbero poste”. Il motivo del ripensamento è stato così spiegato: “Durante il corso dell’esame dovevano essere affrontati alcuni argomenti che comunque andavano anche in linea a quella che è l’ipotesi accusatoria. L’obiettivo era quello di chiarire i rapporti tra alcuni soggetti, ma anche del Graviano stesso, con alcuni imprenditori. Ma vi era anche la volontà di andare a integrare quella che poteva essere la linea dell’ufficio (di Procura, ndr) per dare maggiore ampiezza al processo stesso con alcuni riferimenti che sono già emersi durante l’esame. Siccome queste dichiarazioni del signor Graviano, a mio parere, dovevano essere riscontrate e il riscontro ce lo potevano dare soltanto alcuni collaboratori, non ultimi Mandalà e Spataro, su alcune domande non ci è stato permesso di approfondire alcuni temi. In particolare quando parliamo di Contorno. Avremmo voluto parlare dei rapporti di Contorno con alcuni imprenditori. “Non ci è stata data la possibilità di poter andare ad accertare e integrare questi argomenti, la motivazione è questa: non c’è la possibilità di riscontrare le dichiarazioni del Graviano” ha detto con vena polemica verso la Corte, il legale del boss di Brancaccio. Immediatamente è scattato un botta e risposta con la Corte che ha ribadito come in alcun modo “sia stato compromesso il diritto di difesa”. Un confronto animato che ha lasciato impassibile il capomafia, video collegato dal carcere.

Le parole che non ti ho detto
E’ ovvio che quello di Graviano è un silenzio che parla. Era l’8 febbraio quando “Madre natura”, tra una spiegazione e l’altra di quelle parole dette durante il passeggio, ha lanciato un messaggio chiaro ai suoi interlocutori esterni: “Io qui non sto facendo niente, sto solo dicendo qualcosa, ma posso dire ancora tante altre cose. Io non voglio né soldi né altro. Ho solo dato confidenza a un carissimo amico. Ma se sentissi tutte le intercettazioni potrei dire tanto altro”.
Cosa potevano riguardare le altre cose? Nelle scorse udienze non sono mancati strani riferimenti all’agenda rossa, alla morte del poliziotto Antonino Agostino, a “un imprenditore di Milano che aveva interesse che le stragi non si fermassero”.
Tra le intercettazioni registrate nel carcere di Ascoli, su cui si dovevano fare nuove domande, perché il boss di Brancaccio sosteneva di non riuscire a sentire il contenuto, vi era anche quella in cui parlava dell’ex Premier e della “cortesia” che avrebbe chiesto. Non ci saranno approfondimenti.
Nonstante il cambio di strategia restano agli atti le dichiarazioni delle scorse udienze, sui rapporti che la sua famiglia avrebbe avuto con l’allora imprenditore Silvio Berlusconi, sugli incontri che avrebbe avuto con quest’ultimo mentre era latitante, sugli strali contro il 41 bis. Resta scolpito il “per il momento non lo ricordo” alla domanda dell’avvocato Ingroia se Berlusconi fosse il mandante delle stragi, così come l’accenno all’ex senatore Marcello Dell’Utri (condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa) come soggetto “tradito” e “danneggiato” dall’ex Premier.
Su tutto quel “fiume” di dichiarazioni del boss di Brancaccio gli avvocati di Berlusconi avevano immediatamente rigettato ogni accusa affermando che sono “totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie” indicando in Graviano uno scopo “finalizzato ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri”annunciando che “saranno esperite tutte le azioni del caso davanti l’autorità giudiziaria”. Ad oggi, però, non risulterebbero querele nei confronti del capomafia.

Zappia e l’evoluzione della ‘Ndrangheta
Nell’udienza di oggi, è stato anche sentito il collaboratore di giustizia Diego Zappia, elemento emergente della cosca di Oppido Mamertino, che ha riferito in merito alla struttura della ‘Ndrangheta raccontando di aver avuto, al momento della propria iniziazione, la “copiata” una sorta di lasciapassare identitario da far valere con altri ‘ndranghetisti, la triade dei boss Paviglianiti – Filippone – Stillitano, in rappresentanza dei tre mandamenti di cui si compone la struttura organizzativa della ‘Ndrangheta in provincia di Reggio Calabria: Ionica, Tirrenica e Città capoluogo.
Zappia ha al contempo riferito di avere conosciuto Rocco Santo Filippone, personaggio legato ai Piromalli di Gioia Tauro, in un periodo di comune detenzione. “Che fosse ‘ndranghetista l’ho appreso in ambito carcerario e nell’ambito criminale. Dopodiché ricordo che era molto rispettato – ha detto in aula – Ricordo che Filippone si appoggiava ad una stampella per camminare e tutti si avvicinavano per dargli aiuto ed assisterlo perché molto rispettato”.

Nuovi atti depositati
Nel corso dell’udienza odierna il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha dato contezza del deposito di un’ulteriore attività istruttoria compiuta approfondendo alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Russo sui rapporti tra soggetti di ‘Ndrangheta e l’imprenditore radio-televisivo Angelo Sorrenti. A quanto si è appreso in udienza vi sarebbe un collegamento tra la cosca Piromalli e la Fininvest, proprio tramite l’imprenditore. “Questo – ha detto Lombardo – diventa un modo per spiegare perchè una serie di collaboratori di giustizia ascoltati in questo processo abbia fatto riferimento al clan Piromalli, dunque Filippone, in relazione all’ambito imprenditoriale di antenne e ripetitori. Gli stessi ambienti imprenditoriali milanesi in cui, come ci ha detto Graviano, aveva interessi anche la sua famiglia, tramite il nonno”.
Il processo è stato poi rinviato al prossimo 5 giugno quando sarà sentito il pentito catanese Giuseppe Di Giacomo sui rapporti tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra