LO SCAMBIO TRA VITA E DIRITTI

di Carmela Blandini

L’attuale governo ha proposto agli italiani e, ora persegue, uno scambio tra Vita e Diritti. A questa proposta hanno risposto di si tutti quelli che pensano che la vita sia più importante del dover rinunciare ad alcuni diritti fondamentali, anche quelli sanciti dalla nostra Costituzione.

La conclusione di un simile sillogismo è, invece, molto chiara per coloro che non hanno votato i partiti al governo: La vita senza diritti ci ridurrebbe alla schiavitù e per noi sarebbe inaccettabile.

Lo scambio promesso dal M5s è stato quello, di tipo assistenziale, di un reddito di cittadinanza per aiutare i milioni di disoccupati, tra cui tantissimi giovani, a sopravvivere con pochi euro ( sembra più una scommessa già fallita che un vero aiuto, ndr.).

Lo scambio promesso dalla Lega è stato, invece, di avere più sicurezza personale contro gli immigrati, anche se poi si vive in uno Stato di paura e odio perenne e, magari, con una pistola in tasca o sul comodino.

Chiunque potrebbe capire che questo scambio non è consono ad una vita normale che comprenda anche i diritti, non è consono ad una vita piena e consapevole cui ha diritto una persona che vuole dimostrare le sue competenze e realizzare i suoi sogni.

Ma la cosa peggiore di questo “scambio” è che sia stato possibile attuarlo con un vero e proprio voto “di scambio”, cioè i politici si sono approfittati di persone che non erano in grado di scegliere liberamente, perché fortemente accasciati sia nella loro impotenza di trovare un lavoro, sia nella loro incapacità, o impossibilità, di risollevarsi dal disastro finanziario indotto dalla crisi e dai nostri governi precedenti.

La realtà del disagio provocato dall’enorme disoccupazione, che è in aumento, è evidente nella classifica pubblicata dal Sole24ORE, dalla quale si evince che sono proprio le città del Sud, dove il M5s ha preso i suoi voti, ad aspettare con ansia il reddito il cittadinanza.

Il giornale ha stilato una lista delle prime dieci province che rientrerebbero nei parametri, non ancora definitivi, del reddito di cittadinanza in base all’Isee, e le prime sarebbero: Crotone (27,9% delle famiglie residenti), Napoli (20,6%), Palermo (20,5%), Caltanissetta (19,8%), Medio Campidano (18,6%), Catanzaro (18,4%), Catania (18%), Caserta (17,9%), Barletta (17,5%) e Reggio Calabria (16,9%).

Invece in coda a quella lista troviamo Monza e Brianza (5,5%), Treviso (5,1%), Varese (5,1%), Lecco (4,9%), Como (4,3%), Trento (3,9%), Verbano Cusio Ossola (3,5%), Belluno (3,3%); Sondrio (3,3%), Bolzano (2,3%), cioè quelle città del Nord che hanno preferito votare la Lega, che non vogliono immigrati, che vogliono godersi i loro soldi e non dividerli con nessuno.

In questo modo l’Italia rimarrà sempre più divisa, perché è logico che il Nord disprezzerà la voglia di elemosina bramata dal Sud, infatti sappiamo che, nell’orizzonte del governo, non c’è nessun progetto coerente e fattivo di un piano di lavoro per tutto il Sud Italia.

Nella sostanza il divario sarà aggravato dal misero reddito di cittadinanza e aggraverà anche la vita delle persone, le quali rimarranno pur sempre povere. Purtroppo, l’odio sarà rinfocolato, tra il Sud, che già viene tacciato come indolente e poco adatto al lavoro, cosa assolutamente non vera per la maggior parte dei meridionali, e il Nord che continuerà con i suoi soprusi agli immigrati e a chi proviene dal Sud. A esempio, quando un siciliano o un calabrese lasciano la propria città, e si trasferiscono nel settentrione, faticano ad avere una casa in affitto nel Nord anche se vi cercano lavoro, infatti la prima cosa da presentare alle agenzie immobiliari è la denuncia dei redditi, che deve essere congrua, cosa ardua per chi non ha lavorato prima di partire.

Quello che sta accadendo, dunque, non è degno di un Paese civile, ma è sintomo di un Paese molto malato che ha un governo che non vuole il benessere di tutti i cittadini, ma vuole volontariamente aumentare il divario tra persone ricche e persone povere.

La soluzione al problema dovrebbero trovarla gli eletti dal popolo, noi possiamo soltanto suggerire e sperare che l’Italia possa ripartire dalle piccole opere, specialmente quelle per il mantenimento e la messa in sicurezza di tutto il territorio nazionale, case, scuole, montagne e frane, fiumi, ponti e ponticelli, strade e autostrade. Per le piccole opere non servono quelle grosse imprese che hanno probabili connessioni con la mafia, non servono grossi appalti dove i soldi scorrono a fiumi senza vedere mai la fine dei lavori, basterebbe dare seguito, volta per volta, alle segnalazioni dei sindaci e nominare ogni sindaco come responsabile della destinazione delle somme erogate. Il sindaco nominerebbe a sua volta un dirigente per il lavoro, che avrebbe il compito di stipulare anche polizze assicurative, tipo pensione integrativa, per chi viene assunto e controllerebbe le pratiche burocratiche necessarie. E sarebbe anche giusto assegnare un piccolo appezzamento di terra abbandonata ai giovani che si impegnano a viverci e a coltivarla, senza vincolo di terzo figlio, ma con vincolo di controllo.

Con le piccole opere potrebbe ripartire tutta l’Italia povera, formata sia da italiani che da immigrati, lavorerebbero agricoltori, muratori e artigiani, negozi di ferramenta e di edilizia, elettricisti e idraulici, geometri, ingegneri e architetti, tante persone adulte, ma anche tantissimi giovani che potrebbero occuparsi di ogni cosa oltre alla progettazione, all’organizzazione, all’informatica ecc. Ripartirebbe infatti tutto l’indotto commerciale e città e cittadine si risolleverebbero dal letargo che stanno vivendo.

Con un lavoro ogni disoccupato, con la sua competenza, potrebbe contribuire a risollevare il PIL di tutta l’Italia, solo così si tornerebbe a vivere una vita dignitosa che rispetta la persona, la sua professionalità e il suo lavoro. Queste cose non potrà mai ottenerle il reddito di cittadinanza che, tra l’altro, ignorerà gli immigrati che rimarranno, purtroppo, in balia del lavoro nero e forse anche peggio.

Non è possibile scegliere tra vita e diritti.