LA TRATTATIVA STATO-MAFIA ANCHE IN LIBIA

 

di Alessio Di Florio

Trattativa Stato-Mafia. Parole che evocano quanto accadde tra Cosa Nostra e settori d’alto livello dello Stato italiano negli anni delle stragi 1992-1993. Ma chiunque conosca la storia delle trame, e di certe strategie criminali delle “menti raffinatissime” che sono prosperate a cavallo tra istituzioni, servizi segreti, terrorismo e mafie, è cosciente che non fu un unicum. Tutta la storia della Repubblica Italiana è segnata da trattative, strategie della tensione, cupole con mafiosi di ogni tipo, organizzazioni antidemocratiche nate anche nello stesso ventre delle Istituzioni. Sembra albergare nei meandri dei Palazzi del Potere una sorta di ineluttabilità e attrazione verso tutto questo. E, negli anni in cui rappresenta uno dei cardini del dibattito pubblico e della politica,  la “gestione” dell’immigrazione non è rimasta esente da tutto questo. Nei giorni scorsi lo ha nuovamente documentato un’inchiesta di Nello Scavo per Avvenire. Incentrata su Abd al-Rahaman al-Milad detto  Bija, uno dei boss libici che detengono le redini delle rotte migratorie. L’inchiesta di Nello Scavo ha documentato che nel maggio 2017 Bija è stato tra i partecipanti ad un incontro internazionale, organizzato e ospitato in Sicilia dal governo italiano. Obiettivo, concordare strategie comuni tra Italia e Libia su come bloccare le partenze dei migranti dall’Africa. E, dopo la fine dell’incontro Bija ha visitato alcuni centri per migranti in Italia (tra cui il tristemente noto CARA di Mineo, di cui ci siamo occupati quasi un anno fa http://www.lagiustizia.info/e-tornato-in-liberta-da-alcuni-mesi-il-primo-accusato-in-italia-di-business-dellimmigrazione-e-abusi-nei-centri/ )  e la sede della Guardia Costiera a Roma. Onori che si riservano ad alleati e grandi amici.
Eppure Bija era già considerato uno dei trafficanti che lucravano e dominavano lo sfruttamento dell’immigrazione. E non uno qualsiasi ma, grazie alla Guardia Costiera libica tante volte in questi anni decantata e foraggiata dall’Italia, tra i più forti. E inumani. Durante la visita di Bija al Cara di Mineo – ha raccontato Scavo – un migrante per errore è finito quasi a contatto con lui. Quando lo vede Bija si allontana spaventato ed urla “Mafia libia”. Le Nazioni Unite l’anno scorso lanciarono precise e durissime accuse contro di lui. E ne disposero nel luglio 2018 il blocco dei beni e il divieto di viaggiare. La stessa Guardia Costiera libica l’avrebbe sospeso ufficialmente. Ma, in realtà, è ancora presente e attivo nel traffico di esseri umani. E le prime accuse contro di lui sono precedenti all’incontro in Sicilia documentato da Avvenire.
Un’inchiesta della giornalista internazionale Nancy Porsia (collaboratrice tra gli altri di varie testate italiane, del Guardian, di The Post Internazionale e della Radio Televisione Svizzera) nel febbraio 2017 evidenziò la figura chiave nel traffico di esseri umani di Bija, allora capo della guardia costiera a Zawiya. Accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. Accuse ribadite 2 mesi dopo anche dall’OIM. Il porto della città è lo snodo centrale di tutta la costa occidentale libica per i traffici di esseri umani e di petrolio. Mentre le forze militari europee schierate in mare, denuncia la Porsia, “stanno chiudendo un occhio”  solo il traffico di carburanti vale 10 milioni di euro. E “negli ultimi due anni – leggiamo nell’inchiesta – le milizie hanno infiltrato l’amministrazione della raffineria qui, e anche della guardia costiera”. Denunce simili sempre a febbraio vennero da un reportage de l’Espresso in collaborazione con l’Unicef. “Ci sono guardie costiere che recuperano i migranti in mare e li vendono alle milizie che li trasportano nelle prigioni illegali. I migranti sono i bancomat di questo Paese. L’Europa vede, ne è consapevole, eppure ha preferito spostare il problema sulle nostre spalle anziché farsene carico. Preferisce non vedere i morti” leggiamo nel reportage dove si riporta la denuncia di un poliziotto locale sulla brigata Sharikan, una delle più potenti a Tripoli: “fingono di arrestare i migranti clandestini e li tengono nei loro centri, senza cibo e senza acqua, prendono loro i soldi, li sfruttano, abusano delle donne e poi li trasportano nella zona di Garabulli per farli partire con i gommoni, con la complicità di parte della guardia costiera”.
Un video amatoriale pubblicato da Times pochi giorni prima documentò le violenze sui migranti intercettati in mare e riportati in Libia. Nel video si vede un trafficante, che viene considerato  Bija, frustare  alcuni migranti con una corda. I trafficanti che non gli pagavano una quota venivano fermati dalla Guardia Costiera e le loro barche requisite.
In un rapporto depositato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’8 maggio scorso dalla Procura della Corte penale dell’Aja, il trattamento dei migranti nei centri del feudo di Bija viene definito “crudele, inumano e degradante”. Documenti sia della Corte penale che delle Nazioni Unite riportano testimonianze di migranti catturati in mare dalle sue milizie, mentre cercavano di fuggire verso l’Europa, sono stati detenuti in un centro di detenzione dove hanno subito torture. “Le sue forze – riporta almeno uno di questi documenti – erano state destinatarie di una delle navi che l’Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard”. Mentre la sua milizia avrebbe  “beneficiato del Programma Ue di addestramento” nell’ambito delle operazioni navali Eunavfor Med e Operazione Sophia. E a settembre in un rapporto del segretario delle Nazioni Unite Gutierres, che ha raccolto informazioni da varie agenzie ONU, si documenta che la Guardia Costiera libica “trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali” dove funzionari governativi li “vendono” ai trafficanti. Crimini orrendi, a cui per le donne si aggiungono ripetute sevizie sessuali, per i quali vengono chiamati in causa gli Stati – come l’Italia – che finanziano ed equipaggiano a fondo perduto le autorità libiche. Senza ottenere nessun impegno, neanche minimo. Crimini per i quali è colpevole un cartello criminale coinvolto da funzionari statali, guardiacoste, trafficanti e membri di bande. E le attività in mare dei “guardiacoste” consegnano costantemente nuovi migranti ai boss, moltiplicando i loro traffici.