GIUSTIZIA PER PATRICK ZAKI E GIULIO REGENI DEVE DIVENTARE UNA PRIORITÀ PER L’ITALIA

di Alessio Di Florio

Mancano ormai pochissimi giorni a Natale, una celebrazione che in quest’anno segnato dalla pandemia assumerà un tono molto più cupo e molto meno di festa. C’è un ragazzo, che in Italia aveva trovato una sorta di seconda patria, qui ha vissuto alcuni degli anni più belli della sua gioventù, ha studiato e ha donato passione, che non celebrerà nessun Natale, a cui è stato rubato e cancellato: Patrick Zaki. Da dieci mesi Patrick è rinchiuso nella prigione egiziana di Tora, soprannominata la “tomba”, in condizioni brutali e disumane. La sua “colpa” è quella di essere copto e di essere uno studente che pensa e agisce in piena libertà e autodeterminazione. Tutte, appunto, “colpe” per il regime di Al Sisi. La sua reclusione è stata prorogata per l’ennesima volta in questo mese per altri 45 giorni, passerà quindi Natale e il passaggio all’anno nuovo recluso. Senza che nessuna reale accusa sia mai stata formalizzata contro di lui.
Nei giorni scorsi Azione Civile ha espresso una fortissima critica e denunciato “il colpevole silenzio del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio sulle vicende dei due ricercatori protagonisti di vicende sconcertanti quanto drammatiche”.  Davanti la terribile ingiustizia che Zaki subisce quotidianamente, attacca Azione Civile, “il governo italiano ed il ministro degli esteri tacciono vergognosamente e continuano ad intrattenere rapporti commerciali con l’Egitto. Ci vorrebbe, invece, un segnale significativo quale il conferimento della cittadinanza a Zaki, il ritiro dell’Ambasciatore italiano, e, soprattutto, quantomeno la minaccia d’interruzione degli affari commerciali con Al Sisi. Affari bagnati di sangue innocente”. Affari soprattutto militari, energetici e di vendita di armi che – nonostante le ripetute richieste delle associazioni per i diritti umani, di movimenti pacifisti come la Rete Italiana Pace e Disarmo, esponenti politici e della cultura, sono sempre stati confermati e portati avanti. Nonostante l’abuso di potere e disumanità contro Zaki e, prima ancora, l’assassinio di Giulio Regeni, il ricercatore dell’Università di Cambridge che stava svolgendo una ricerca indipendente sulle organizzazioni sindacali egiziane quando fu rapito, torturato ed assassinato. 
Le indagini della procura di Roma e alcune recenti rivelazioni documentano e squarciano ogni dubbio su cosa è accaduto contro Regeni e le altissime complicità istituzionali egiziane sul suo assassinio. Avvenuto, denuncia Azione Civile, “dopo giorni e giorni di torture disumane e raffinatissime che resero il suo corpo irriconoscibile alla famiglia”. L’Italia ha l’obbligo morale, civile e politico di portare avanti “uno scatto di orgoglio”, scrive Azione Civile, pretendere “giustizia e verità” per Zaki e Regeni, ritirare “immediatamente l’Ambasciatore italiano e, soprattutto” interrompere con il regime di Al Sisi “affari commerciali bagnati di sangue”.  Affari che dall’Egitto alla Turchia di Erdogan, nonostante la persecuzione e la guerra genocidaria contro i curdi, l’Italia non ha mai interrotto e anzi continua costantemente ad intensificare, fino all’Arabia Saudita che bombarda le popolazioni dello Yemen con produzioni italiane. Affari sporchi di sangue che s’inseriscono nel quadro dei giochi di potere e di guerra tra stati europei, gli USA e Paesi come l’Egitto, la Turchia, Israele e l’Arabia Saudita sulla pelle e la vita di milioni di civili. L’anno che si sta concludendo è iniziato con fortissimi venti di guerra provenienti da Nord Africa e Medio Oriente. Esprimendo sgomento e angoscia Azione Civile lo scorso 18 gennaio ha denunciato come l’Italia fosse uno Stato pienamente in guerra: “per la partecipazione alla Nato, braccio armato dell’imperialismo USA, e a missioni militari in Libia, Iraq, Turchia, Niger ed altri, per gli accordi e interessi economici con Egitto, Turchia, Libia, Iraq ed altri, per la presenza di basi militari USA e Nato sul proprio territorio, da Camp Darby a Sigonella alla Niscemi del MUOS, per le armi vendute a Turchia, Arabia Saudita e altri”. “Decenni di guerra globale e permanente hanno distrutto il diritto internazionale, le voci dei popoli e le Nazioni Unite” la denuncia del movimento politico che chiamò alla mobilitazione perché l’Italia diventi “promotrice di iniziative per la ricostruzione della Nuova Società delle Nazioni di Pace, solidarietà e collaborazione nel diritto e per i diritti dei più deboli del mondo”. Una mobilitazione che deve iniziare assolutamente dall’interrompere ogni collaborazione militare e commerciale con stati come Egitto, Turchia ed Arabia Saudita, la richiesta di giustizia per Regeni, la liberazione immediata di Patrick Zaki, il ritiro delle truppe italiane da ogni teatro di guerra, la condanna di ogni violazione del diritto internazionale e l’apertura di “una discussione seria e reale sull’appartenenza alla Nato, a partire dalle basi USA e dell’alleanza atlantica sul suolo italiano, dalla partecipazione alle spese militari della stessa e delle strategie decise da Washington”.
Tra i popoli maggiormente vittime degli alleati di affari, armi e guerre di Italia, Europa, USA e Nato c’è sicuramente il popolo curdo. Oltre un anno fa Azione Civile, sottolineando gli ingenti affari e collaborazioni militari e commerciali di armi con la Turchia, ha espresso una decisa condanna della “ignobile e ingiustificata invasione turca” in atto, schierandosi “al fianco del popolo Kurdo. Contro ogni gioco di potere portato avanti dalle grandi potenze, USA e Russia, servendosi delle mire di Turchia e Siria a discapito di un popolo da troppo tempo abbandonato, disperso e dimenticato dalla sorda ed inutile Europa”. Un popolo verso cui “il mondo è debitore” per la lotta contro l’ISIS, l’organizzazione terroristica nata e cresciuta soprattutto grazie alla complicità e al sostegno dell’Occidente in funzione anti-siriana e anti-democratica. In quelle settimane i curdi denunciarono l’utilizzo di armi chimiche vietate dal diritto internazionale e lo sterminio di migliaia di civili da parte dell’esercito turco. Un’offensiva che rafforzò “il “califfato” con nuovi attentati e la liberazione di “migliaia di terroristi e foreign fighters catturati dagli eserciti di autodifesa curda” che tornarono  “a minacciare la sicurezza dell’area, dell’Europa e del mondo”.